
"Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante."
Un libro triste che racconta la storia triste di gente triste. Al netto di questo, un romanzo sulla libertà di disporre autonomamente del proprio corpo e quindi della propria vita ma nella consapevolezza che le proprie scelte sono condizionate da questioni esterne a sé: dalle convenzioni familiari a, banalmente, il caso.
Non è un racconto sull’ortoressia, che nel caso della protagonista si accompagna a un profondo disturbo psichiatrico che la porta progressivamente a respingere qualunque tipo di cibo, ma piuttosto una riflessione sul male di vivere e sul rifiuto degli schemi sociali.
Colpiscono i rapporti interpersonali fra i protagonisti, legati da stretti vincoli familiari eppure rigidi, incapaci di comunicare in modo limpido e di scambiare emozioni sincere o semplicemente lasciarsi andare. Nessuno sembra essere libero, neanche chi detiene il potere all’interno del proprio ambito, e soprattutto nessuno sembra essere minimamente felice della propria vita.
La versione italiana è la traduzione della traduzione dal coreano all’inglese; impossibile quindi esprimere una qualche opinione relativamente allo stile che, nel testo nella nostra lingua, non appare particolarmente brillante.