Per dieci minuti – Chiara Gamberale

Snobbata da molti, considerata un’esponente di una letteratura minore e di facile fruizione, la Gamberale si è rivelata invece, nei due o tre suoi libri che ho letto, un’autrice interessante e per nulla banale. Non è certo Dostoevskij ma neppure Paulo Coelho, e riesce a trattare temi importanti senza eccessiva pesantezza ma non per questo con superficialità.

Lo stile, purtroppo o per fortuna, è quello di moda oggi: assertivo, assiomatico, fatto di proposizioni principali, senza o con poche subordinate, sempre con l’aria di essere in procinto di fare una rivelazione incredibile che modificherà le sorti, se non dell’umanità, per lo meno del lettore. Uno stile che non amo, ma in questo caso siamo ampiamente nei limiti dell’accettabilità.

Per dieci minuti è un racconto autobiografico e narra un momento difficile della Gamberale, che perde, improvvisamente e contemporaneamente, il lavoro, il marito e, a causa di un trasloco, la casa dove ha vissuto l’intera sua vita. Ritrovatasi senza riferimenti, accoglie il suggerimento della sua psicoterapeuta di provare a fare, ogni giorno per trenta giorni, per dieci minuti una cosa che non ha mai fatto prima.

È probabile che la scrittura stessa di questo libro, che nei fatti è un diario, abbia fatto parte del piano terapeutico e abbia dato il suo contributo significativo all’elaborazione del lutto per le perdite subite, ma leggerlo offre spunti di riflessione sul rapporto che si ha, nei momenti difficili della propria esistenza, con le persone e con il mondo in generale.

Il dolore dell’anima spinge generalmente a chiudersi in se stessi, a rintanarsi per proteggersi perché ci si percepisce fragili. Questo libro indica la via opposta, quella dell’apertura, mostrando come la vita si possa nascondere nelle pieghe delle esperienze più insospettabili. È un libro che apre la porta alla speranza, e di speranza c’è davvero un gran bisogno.