La carta e il territorio – Michel Houellebecq

Folgorato dai primi suoi romanzi che ho letto, ho iniziato una sistematica lettura delle opere di Houellebecq, raccogliendo però, dopo l’innamoramento iniziale, una mezza delusione (Serotonina) e una delusione a tre quarti, come mi sento di definire questo libro.

Non che manchino gli elementi che caratterizzano e rendono più che interessante la sua produzione, e neppure pregevoli pagine con profonde riflessioni e analisi sulla società contemporanea frutto di un acume fuori dal comune, ma nell’insieme il romanzo non avvince.

I fatti ruotano attorno alla vita di un artista di successo che nel racconto incontra e lavora insieme con Houellebecq, rappresentato da se stesso. Divertente che uno scrittore faccia di sé un personaggio di un suo romanzo, senza che questo, e qui si vede la grandezza dell’autore, paia eccessivamente agiografico. Divertente anche che la sua morte per mano assassina venga descritta con minuziosità da criminologo.

Rappresentate attraverso i personaggi principali, l’arte e la letteratura fanno da sfondo alle vicende del romanzo; i due modi che l’uomo ha escogitato per raccontare e raccontarsi vengono messi a confronto in un mondo che tributa loro successi curiosi o inaspettati e a volte, come nella storia qui narrata, più grazie al sapiente uso delle logiche di mercato che a reali valori artistici. Ma forse lo sapevamo già.

Serotonina – Michel Houellebecq

Solita lucida, spietata, terribile disamina della società occidentale e degli effetti nefasti che ha sugli individui, per mano di uno scrittore che ha fatto di questo il tratto principale della sua opera.
La depressione quale fenomeno sociale, unica risposta possibile all’inevitabile sconfitta che attende la maggior parte delle persone in un mondo improntato sulla competizione estrema anziché sulla collaborazione.

Sociopatia e sessuomania, ovvero fuga e lenitivo, in un alternanza che vede la classe media schiacciata da una globalizzazione malgestita dai governi nazionali e sovranazionali.
L’individualismo come rassegnazione e non come obiettivo. In altre parole quello che molti di noi già sono o saremo, perché i romanzi di Houellebecq lasciano sempre pochissimo spazio alla speranza.

È il suo terzo libro che leggo, forse quello che mi ha appassionato meno: non per le vicende e le tematiche, interessantissime, ma per alcune parti meno profonde di come ero stato abituato – bene – da lui.
Comunque da leggere.

Piccola curiosità: un refuso piuttosto clamoroso. Il disco Ummagumma dei Pink Floyd viene definito “il disco della mucca” mentre quello “della mucca” è invece di Atom heart mother. Clamoroso perché è una delle copertine più famose della storia del rock e la mucca la occupa per intero. Ma glielo si perdona tranquillamente.

Estensione del dominio della lotta – Michel Houellebecq

Tra le cose che certamente colpiscono di questo romanzo, pubblicato quasi trenta anni fa, c’è quella di essere, quasi incredibilmente, l’opera di un esordiente. Spazia dall’analisi dell’essere umano a quella dei sistemi socio-economici, e il suo punto di vista sembra essere quello di chi ha toccato veramente il fondo del dolore e dell’emarginazione sociale e ne parla con cognizione.
Houellebecq scava in profondità nei meandri più reconditi dell’anima arrivando a frugare nell’inconfessabile di ciascuno, disvelandone le nevrosi, le paure, le fisime, l’incapacità di adattamento a una società fondamentalmente malata come quella in cui viviamo.

I suoi personaggi sono devianti semplicemente perché incapaci o indesiderosi di uniformarsi al consesso conformista e borghese che li vorrebbe inquadrati nel dualismo produzione-consumo.
La loro emarginazione a volte è volontaria, figlia del rifiuto e della denuncia di tutte le lacune e le pecche del sistema liberista occidentale, altre è la resa triste di chi non è all’altezza e soccombe di fronte a un mandato esistenziale alienato e alienante. Somigliano ai protagonisti dei romanzi di Philip Roth ma rispetto a questi sembrano possedere maggiormente i connotati del perdente. Il loro tormento non è solo dramma interiore ma vera e propria emarginazione, forse perché la società europea è più conformista e perbenista di quella americana e mal tollera chi non vi si adatta.

Alcune pagine, alcune riflessioni che l’autore fa esprimere al protagonista principale, un informatico trentenne insoddisfatto malgrado un buon lavoro, sono di una profondità e di un acume che affascina incredibilmente. La disamina del nostro vivere – nostro di occidentali di questa epoca – è impietosa: dolore e frustrazione ci lacerano ogni qual volta ci ritroviamo davanti a modelli e stili di vita inarrivabili per la stragrande maggioranza di noi. La felicità è un obiettivo irraggiungibile perché l’asticella del traguardo viene continuamente spostata un poco più avanti ogni volta che facciamo un passo nella sua direzione. L’appagamento esistenziale non è misurato solo in termini economici ma anche, ad esempio (e da qui l’estensione del dominio), sul metro del successo in ambito sessuale, ridotto anch’esso a mero oggetto di superficiale consumo.

Come anche Roth, Houellebecq sembra lasciare poco spazio alla speranza. Non si investe del compito di lenire il dolore, di rassicurare il lettore carezzandolo amorevolmente come un genitore di fronte al piccolo grande dramma di un figlio in età scolare. La sua letteratura si dà l’obiettivo di illustrare la realtà e spiegarla, di aiutare a prenderne coscienza e spingere a liberarsi da un giogo che strangola. In una delle ultime pagine lo dice chiaramente, riferendosi ai ricoverati di un manicomio: “A un certo punto ho cominciato a convincermi che tutte quelle persone non erano malate, avevano semplicemente bisogno d’amore”. La strada, è chiaramente indicata, la speranza pertanto è un privilegio per chi sceglie di reagire e quindi di agire.

Le particelle elementari – Michel Houellebecq

Definirlo romanzo è riduttivo. È un fantastico trattato di sociologia, psicologia e antropologia che descrive l’evoluzione della società occidentale (francese in particolare) negli ultimi decenni del Novecento attraverso le vicende personali di due fratellastri, diversissimi per carattere e per indole.

Il primo, solitario al limite dell’ascetismo, dedica la vita alla scienza, arrivando a sfiorare il Nobel; il secondo ricerca nel sesso sfrenato un lenitivo al suo dolore esistenziale. Entrambi, però, chiusi nel proprio microcosmo di difesa o appagamento, appaiono come il prodotto di un epoca che ha portato l’individualismo al suo massimo storico. E l’autore spiega molto bene le ragioni di questo percorso generazionale e antropologico.

Inumerevoli le pagine contenenti digressioni profonde che stimolano la riflessione nel lettore, ragionamenti acuti esposti con incredibile chiarezza che spaziano dalla filosofia positivista alla fisica quantistica e alla biologia molecolare. Affascinante come Houellebecq appaia ferrato in tutti questi campi, mostrando uno spessore culturale davvero fuori dal comune.

Ma nel finale spiazza, spostando progressivamente l’azione in un futuro prossimo di alcuni decenni, mostrando un’umanità nuova sorta dalle ceneri della vecchia, ormai geneticamente superata, cui viene però riconosciuto il merito, pur avendo vissuto nell’individualismo, di non aver mai smesso di cercare il bene e l’amore universali.
Bello, bello, bello!