Venezia in barca – Il Mare sul Divano

Ancora una bellissima serata al Mare sul Divano.

Gianluca Marcon ci ha piacevolmente intrattenuti con le sue storie di mare e con i bellissimi disegni che fa per illustrare le sue navigazioni.

Abbiamo parlato di mari del nord e di laguna veneta, di aneddoti di navigazione e di storie curiose come quella del Vasa, il galeone svedese naufragato il giorno stesso del varo nel porto di Stoccolma.

E abbiamo ovviamente parlato anche del libro di Gianluca, Venezia in barca, un piacevole racconto illustrato che è anche un portolano delle acque lagunari.

Eravamo davvero tanti e abbiamo ascoltato Gianluca con interesse. Poi abbiamo chiacchierato, riso, scherzato e consumato le abbondanti libagioni e vettovaglie di cui non patiamo mai carenza.

Grazie a Gianluca e grazie a tutti gli amici che sono venuti!

Anima baltica

La passione per la lettura può portare molto lontano, perché ci sono libri così appassionanti da indurti a partire per ricercarne le tracce nei luoghi che descrivono. È quello che mi è successo con Anime Baltiche, di Jan Brokken, giornalista olandese, che ha meravigliosamente raccontato la vita di alcuni uomini e donne nati o vissuti, per lo più nella prima metà del Novecento, in quel piccolo spicchio d’Europa che si affaccia sul versante orientale del Mar Baltico. Terminato il libro ho deciso di partire per Riga, capitale della Lettonia, che insieme a Lituania ed Estonia forma la triade delle cosiddette repubbliche baltiche. 
Dato che da quelle parti le temperature minime in inverno possono toccare i venticinque gradi sottozero, mi è sembrato il caso di aspettare la fine della stagione più fredda.

La città mi ha accolto con una pioggia finissima che poi a sera è rimasta in sospensione formando un sottile strato di foschia. Due passi all’imbrunire lungo la Daugava, il fiume che le scorre dentro, sono quindi stati avvolti da un leggero velo di mistero che ha conferito al cammino quella sensazione ancestrale fatta di curiosità e timore mescolati fra loro. C’è un piccolo marina ma una sola barca a vela all’ormeggio; l’aria è quella del porto dismesso, forse per manutenzione, forse per questioni di sicurezza legate alle tensioni con la vicina Russia. Poco più a monte sono ormeggiate tre navi militari con le insegne NATO e le bandiere rispettivamente francese, tedesca e spagnola.

Ho affittato un piccolo appartamento nel quartiere subito a nord della città vecchia e che costituisce uno degli obiettivi del viaggio. Edificato nei primissimi anni del Novecento secondo lo stile in voga allora, l’Art Nouveau (che nell’Europa centro-settentrionale prese il nome di Jugendistil), ha segnato architettonicamente la città in modo profondo proiettandola nella modernità urbanistica.

Si tratta di un esteso agglomerato formato da numerosi edifici le cui facciate sono riccamente decorate con statue e figure mitologiche che li rendono sontuosi e decisamente curiosi. La maggior parte di essi, come ho appreso grazie a Brokken, è stata progettata da Michail Ėjzenštejn, padre di Sergej, il regista de La corazzata Potëmkin, che nacque infatti a Riga e qui ha trascorso i primi anni della sua vita. È un quartiere decisamente elegante che oggi ospita molte ambasciate straniere e che è stato restaurato dopo l’indipendenza della Lettonia dall’URSS, seguita ad anni di abbandono e degrado. Anche il palazzo dove risiedo è stato riportato all’antico splendore grazie a lavori eseguiti davvero con eccellente maestria.

L’altro obiettivo che ho è una fisima da bibliofilo: la libreria fondata nel 1918 da Jānis Rose, un interessante personaggio narrato da Brokken nel primo capitolo del libro. La sua avventurosa storia personale si intreccia con la storia del suo paese, dell’impero zarista e di quello sovietico, passando per la breve parentesi della prima repubblica lettone, iniziata all’indomani della prima guerra mondiale e terminata brutalmente nel 1940 con l’occupazione russa seguita allo scellerato patto Molotov-Von Ribbentrop con cui nazisti e sovietici si spartirono l’Europa. La libreria esiste tuttora ed è miracolosamente sopravvissuta alla censura dei diversi oppressori che si sono avvicendati in Lettonia. Osservo emozionato l’insegna e la vetrina, al lato della quale è posta una targa a ricordo del fondatore, poi entro a curiosare fra gli scaffali, guardato malamente da una commessa definita arcigna anche da Brokken. Devo purtroppo dire che da queste parti molto raramente nei negozi o nei locali pubblici si viene accolti con un sorriso.

Riga è bellissima! Strade e palazzi antichi sono stati tutti restaurati con cura nel trentennio successivo all’indipendenza, proclamata nel 1991; non una carta per terra, non un muro imbrattato da inutili e insignificanti graffiti, non un condizionatore appeso sulla facciata di un edificio di pregio, non un infisso colorato secondo il gusto del proprietario dell’appartamento ma in controtendenza con il resto del condominio, non un’insegna in un improbabile colore sgargiante, non un manifesto abusivo. Pulizia, eleganza, sobrietà, cura, armonia, senso estetico, rispetto: nel mio quartiere come pure nella città vecchia o nei lungofiume. L’opposto esatto di ciò che è stato nei cinquant’anni di dominazione russa, quando il disprezzo per i canoni estetici ritenuti borghesi ha fomentato l’incuria dei palazzi più belli.

Ma se i segni tangibili dell’occupazione russa sono stati rimossi con i tanti restauri edili, il rifiuto e la paura dei russi alberga ancora in modo profondo nell’animo dei lettoni, rinvigorito dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’ex-armata rossa. Mossi presumibilmente dal timore di subire la stessa sorte, i lettoni mostrano una profondissima solidarietà per l’Ucraina, al punto da esporre la bandiera ucraina accanto a quella nazionale su tutti gli edifici istituzionali. Addirittura, su alcuni canali televisivi, sotto il logo dell’emittente, è scritto in caratteri cirillici Slava Ukraina, Gloria all’Ucraina, il motto della nazione gialloblu. 

Sulla facciata di un elegante palazzo sito proprio di fronte all’ambasciata russa è appesa una gigantografia di Putin il cui volto sfuma in un teschio che simboleggia la morte. Il messaggio, alto almeno una decina di metri, non potrebbe essere più chiaro, soprattutto perché pronunciato da chi conosce bene il suo vicino per averne già sperimentato l’abbraccio mortale, costato centinaia di migliaia di deportati nei gulag siberiani, imposizione del bilinguismo e repressione della cultura lettone oltre che repressione poliziesca e militare.
Sarà per questo che la città è piena di bandiere che celebrano il ventennale dell’adesione del paese alla NATO. Visto quello che è successo all’Ucraina, credo stiano benedicendo con tutto il cuore la scelta da loro fatta nel 2004.

Passeggiando per i  vicoli acciottolati della città vecchia, pittoresca e romantica come poche, arrivo al museo della storia navale lettone, ovviamente per me imperdibile. Non c’è molto, a dire il vero: alcuni modelli di navi, qualche strumento di navigazione e inoltre il personale che sorveglia le sale è severo al limite della scortesia, ma ne valeva comunque la pena. I lettoni comunque mi sembrano piuttosto schivi e poco inclini alla socializzazione o anche semplicemente al sorriso. La loro storia si intreccia, oltre che con i russi, con i tedeschi, i polacchi e gli scandinavi; chissà da chi hanno mutuato questo tratto del carattere o chissà se è frutto proprio della presenza prepotente di questi. Va comunque ricordato che Riga ha fatto parte della Lega Anseatica; l’interazione con i vicini non è stata, nei secoli, solo violenza e sopraffazione ma anche protezione e commercio.

Proseguendo verso sud lungo la Daugava, i cui argini sono puliti e curati come l’altare maggiore della basilica di San Pietro a Roma, arrivo al museo dell’Olocausto. La presenza ebraica a Riga prima della seconda guerra mondiale era costituita da diverse decine di migliaia di individui e si era ridotta a poche centinaia alla fine del conflitto. Molti vennero rastrellati e uccisi nei boschi attorno alla città all’indomani dell’invasione nazista del 1941, quando i tedeschi ruppero il patto con i russi. Il museo è ovviamente molto toccante ma c’è una cosa che mi ha particolarmente colpito: in uno spazio aperto c’è un vagone merci di quelli usati per le deportazioni. Al suo interno, da un lato ci sono le gigantografie dei deportati, così da dare al visitatore la possibilità di vedere con i propri occhi cosa quel viaggio significava, dall’altro ci sono degli specchi. Ecco, lo specchio che riflette la tua immagine all’interno di un vagone di deportati è un vero pugno nello stomaco con un doppio messaggio: ti fa identificare con quelle persone, ti fa capire che erano uomini e donne qualunque, non persone rastrellate in modo mirato magari perché ritenute sovversive, e ti dice anche che domani nel vagone potresti ritrovarti tu, vittima sacrificale, capro espiatorio di un odio cieco che in un attimo può sfuggire di mano e colpire con furia criminale qualunque innocente.

Per tornare a respirare libero, salgo in cima al palazzo dell’Accademia lettone delle scienze, un orribile edificio nello stile staliniano pomposamente definito classicismo socialista, che svetta sgraziato verso il cielo oltre i cento metri di altezza. Dall’alto, però, si gode di una meravigliosa vista della città a trecentosessanta gradi che vale decisamente sia il prezzo del biglietto che lo sguardo austero e severo del solito impiegato scostante che lo vende.
Ridiscendo, poi attraverso il fiume per l’altro obiettivo da bibliofilo: la maestosa e moderna biblioteca nazionale, un futuristico edificio che custodisce quattro milioni di volumi. Fortuna vuole che becco il giorno in cui è chiusa per una non meglio specificata manutenzione. Vabbè, anche la vista esterna vale la pena.

Sul volo di ritorno leggo le ultime pagine del libro che ho portato con me, Il mago di Riga, di Giorgio Fontana, che narra la storia di Michail Tal’, il più giovane campione di scacchi della storia (prima di Kasparov). Il romanzo è scritto davvero magistralmente e anche in questa storia ci sono vite schiacciate dal potere violento e oppressivo della dittatura: un leitmotiv della storia lettone che i lettoni sono ben decisi a non voler ripetere più.

(Di Anime Baltiche ho scritto qui: lucianopiazza.com/2023/12/20/anime-baltiche-jan-brokken/)

Europa 33 – Georges Simenon

"Dopo tutte le guerre e le spartizioni territoriali, come si può pretendere di determinare la nazionalità di qualcuno?"

Un genere che adoro: il reportage di viaggio con analisi storiche e sociologiche. Se poi è per mano di quella formidabile penna che è stata Georges Simenon, il piacere della lettura è garantito. Si tratta, in questo caso, di un fantastico affresco sull’Europa della metà degli anni Trenta del Novecento, stretta tra povertà diffusa e nazionalismi; un mix che porterà, di lì a breve, al tragico epilogo di una nuova guerra mondiale.

Europa 33 è una raccolta di scritti pubblicati dall’autore su diversi numeri della rivista settimanale francese Voilà, e che Adelphi ha da poco ripubblicato dopo l’interessante Il Mediterraneo in barca, narrazione di un viaggio affrontato da Simenon con la moglie a bordo di una goletta.

In entrambe le pubblicazioni, l’occhio attento del reporter va oltre la patina delle apparenze, sia essa dovuta al pudore delle persone di nascondere la propria miseria o alla mistificazione delle autorità locali, come nel caso della visita a Odessa, in piena epoca staliniana, che cercavano di spacciare la fame e il terrore per prosperità diffusa.

Da Bruxelles a Vilnius, passando per Vienna e Istanbul, fino a Varsavia e Batumi, con una deviazione sull’isola dei Principi, nel Mar di Marmara, per intervistare nientemeno che Trockij.
Molto interessanti anche le tante foto a corredo del testo, scattate dall’autore durante il viaggio e che costituiscono un’ulteriore preziosa testimonianza di un periodo storico che ha segnato pesantemente il nostro continente.


Le onde del libero arbitrio – Il Mare sul Divano

Dopo una pausa purtroppo molto lunga, giovedì scorso sono ripresi gli incontri del Mare sul divano, il salotto culturale del mare.

È stato nostro gradito ospite Marco Rossi, navigatore di lungo corso, sceso dalle distese ghiacciate dell’estremo nord per presentarci l’ultimo volume del suo Atlante romantico degli oceani.

La serata è stata interessante e piacevole, iniziata con colte dissertazioni e terminata italicamente con un bicchiere di vino.

Presto nuove inizative!

Una questione di pelle – Marina Vujčić

"Amami, gli aveva detto allora quasi sussurrando, come una donna che sa quello che vuole ma che non è pronta a ricambiarlo."

Un fantastico romanzo che con leggerezza e garbo affronta il tema della solitudine, partendo da un punto di vista decisamente inconsueto: la schiena. E sì, perché, come fa notare l’autrice, la schiena è l’unica parte del corpo umano che non ci si può degnamente accarezzare da sé.

Un uomo e una donna, che più diversi non potrebbero essere e che conducono una vita apparentemente serena sul piano interiore, si incontrano per quella che è decisamente una stravaganza del primo e che porta a inaspettati sviluppi nella vita di entrambi, dopo avere dato la stura a riflessioni che entrambi avevano inconsciamente evitato per costruirsi la propria nicchia di sopravvivenza al riparo dai dolori portati dal mondo esterno.

Scritto con prosa semplice ma con un passo praticamente perfetto, nel corso del racconto vengono scandagliati, con profondità e acume, umori e pensieri dei due protagonisti, che camminano su due percorsi esistenziali paralleli pur sfiorandosi e interagendo, a volte scontrandosi, comprendendo infine l’insensatezza di una vita fatta di rapporti sociali ridotti al minimo necessario.

Ricco di citazioni letterarie che non sono semplici sbrodolate dell’autrice per rendere colto lo scritto, ricco di spiegazioni sulle tecniche pittoriche (la pittura è una delle chiavi di volta dello sviluppo delle vicende), ricco di riflessioni sull’animo umano buttate lì con nonchalance.
Bello, bello, bello!

A oriente del giardino dell’Eden – Israel Joshua Singer

"A dispetto di tutte le umiliazioni che aveva patito, in lei c'era ancora posto per il senso della vergogna. Era una sconfinata capacità di sentirsi degradati, che nessuna ignominia riusciva a distruggere."

Ci sono romanzi che raccontano la Storia meglio di un saggio, perché della Storia mostrano gli effetti diretti sulla vita quotidiana dei protagonisti. Gioiamo o patiamo con loro, rallegrandoci o addolorandoci anche noi delle pieghe che, pagina per pagina, le vicende pubbliche prendono.

Questo splendido racconto di quasi cinquecento pagine, scritto nel 1939 da Israel Joshua Singer, fratello di Isaac Bashevis Singer (premio Nobel per la letteratura nel 1978), è quasi una saga familiare che inizia in un piccolo villaggio rurale della Polonia, passa per Varsavia e finisce nella Mosca staliniana.

Il protagonista principale, nato in una famiglia di ebrei poverissimi, cerca la strada del riscatto collettivo e diventa un attivista politico rivoluzionario. Perseguito e condannato, dopo anni di carcere durissimo scappa in Unione Sovietica dove, malgrado l’illusione di un mondo più equo e giusto, si ritrova in condizioni assai peggiori e nuovamente imprigionato con la falsa accusa di essere un cospiratore controrivoluzionario.

È un meraviglioso affresco della vita nell’Europa orientale nella prima metà del Novecento; anni durissimi, di fame, miseria e continui rovesciamenti politici. Imperi russi, tedeschi, polacchi, sovietici, si alternano in pochi anni negli stessi luoghi, apportando ciascuno il proprio carico di dolore alle popolazioni.

È la storia degli ultimi fra gli ultimi, dei capri espiatori, del potere arrogante e violento, dell’idealismo, della menzogna, del tradimento, dell’illusione, dell’oppressione religiosa e ideologica. Tutto raccontato con la meravigliosa capacità narrativa che caratterizza la produzione dei due incredibili fratelli Singer.

Anime baltiche – Jan Brokken

"Viaggiare, insieme a leggere e ascoltare, è la via più breve per arrivare a se stessi."

Un bel libro è quello che quando giri l’ultima pagina ti lascia due cose: la sensazione di aver imparato qualcosa che non sapevi e il desiderio di saperne ancora di più. Quest’opera di Jan Brokken centra pienamente entrambi gli obiettivi: insegna e stimola.

Una serie di capitoli monografici dedicati ciascuno a un uomo o una donna che in qualche modo hanno avuto una parte nella storia o nella cultura del proprio paese, legati dal filo comune di essere nati o vissuti nelle repubbliche baltiche, quei tre piccoli stati che abbiamo imparato a conoscere dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando si sono finalmente liberati dal giogo della dittatura comunista.

Personaggi di primo piano, da Sergej Ėjzenštejn a Hannah Arendt, o meno conosciuti, come Loreta Asanavičiūtė, la giovane schiacciata da un carro armato durante le prime manifestazioni per l’indipendenza della Lituania, passando per Mark Rothko e l’incredibile esistenza di Roman Gary, l’autore de La vita davanti a sé.

C’è la storia di un pezzo d’Europa, soprattutto degli ultimi due secoli, conteso fra imperi e dominazioni diverse che l’hanno colonizzato, cacciando o importando intere popolazioni come fossero mandrie al pascolo. Ci sono guerre e rivoluzioni, rivolte e repressioni sanguinose, pogrom e rinascite, come quella degli anni Novanta.

Un libro di storia scritto da un viaggiatore, fatto di storie minute, di vita quotidiana di chi la vita ha dovuto inventarsela giorno per giorno per sfuggire alle privazioni e alle persecuzioni dei prussiani, dei nazisti, dei sovietici. Un libro che fa venire la voglia di andare di persona a vedere.

La saggezza del mare – Björn Larsson

"Perché viaggiare non è percorrere la Toscana a suon di risate o imparare a fare il giocoliere con tre arance sotto il sole della Sicilia. Viaggiare vuol dire avanzare penosamente pollice per pollice sulla superficie della terra."

Pessimo il titolo italiano che sembra sottendere una stereotipata didattica dell’anima. In realtà il titolo originale è Da Capo del’Ira alla Fine del Mondo, che sembra metaforico ma che invece si rifà a due promontori realmente esistenti in quella zona di mare europeo dove si è svolta la navigazione raccontata in questo libro.

I primi viaggi per mare dell’autore, ivi compresa l’autobiografia interiore sulle motivazioni che l’hanno spinto a salpare e stare via per lunghi periodi; una vera e propria scelta di vita, dipanatasi fra la Scandinavia e la Scozia, con sconfinamenti in Bretagna e Galizia.

Panorami e modi di navigare sconosciuti a noi mediterranei, spesso preda di ancestrali timori di passare le Colonne d’Ercole, ma affascinanti e avvincenti oltre che, i secondi, decisamente più complessi che nel Mare Nostrum.

Interessante, scritto in modo chiaro, eppure, mentre scorrevo le pagine, avvertivo la mancanza di qualcosa. Quando l’ho chiuso ho capito cosa: il pathos. Le emozioni sono descritte senza la fasulla epicità di molti autori di mare ma anche senza apparente coinvolgimento emotivo dell’autore. Apparente, sia chiaro: non credo che Larsson non abbia messo il cuore in quelle navigazioni come pure nello scrivere questo libro. Solo che non traspare, non si percepisce se non razionalmente.

Da leggere se si ha in programma di fare rotta a nord e si vuole avere una prima infarinatura di quello che si troverà da quelle parti.
Sull’odioso formato di Iperborea è già stato detto tutto.