Il vino della solitudine – Irène Némirovsky

"Nutriva nei confronti di sua madre un odio strano che sembrava crescere con lei; che, come l'amore, aveva mille ragioni e nessuna e, come l'amore, poteva dire: «Perché era lei, perché ero io»."

L’infanzia infelice dell’autrice raccontata in forma di romanzo attraverso le vicende di Helene, una ragazzina in eterno contrasto con la madre che quasi la ignora, preferendo affidarne l’educazione a una istitutrice di cui finirà per ingelosirsi.

Ben scritto, con un’attenzione molto spiccata per le descrizioni di ambienti e abiti che davvero calano il lettore nell’atmosfera dell’epoca (gli anni Dieci del Novecento) nei tre diversi paesi in cui è ambientata la storia: impero russo, Finlandia e Parigi, con frequenti sconfinamenti nelle vicende politiche del periodo.

La crescita di un sentimento di vendetta che monta inesorabilmente con l’avanzare dell’età della protagonista e che finirà per espletarsi in un modo che rivelerà tutto il disprezzo della ragazza per la madre. Una famiglia infelice a modo suo (per dirla alla Tolstoj) da cui affrancarsi per nascere o rinascere.

L’autobiografia di un periodo della vita che ha segnato profondamente l’esistenza dell’autrice, destinata a concludersi tragicamente ad Auschwitz poco dopo la scrittura di questo libro.

Jezabel – Irène Némirovsky

Profumi e balocchi in versione letteraria, la celebre canzone strappalacrime del 1928, ovvero lo stereotipo della donna ricca e senza cuore, presa solo da se stessa e dal suo desiderio, ossessione in questo caso, di apparire bella, di piacere. La paura di invecchiare che assurge al patologico, il rifiuto dell’età come rifiuto di sé, porta Gladys, la protagonista del romanzo della Némirovsky, a passare sopra a tutto, affetti in primis, come un buldozer, per giungere dove Dorian Gray è giunto pagando il prezzo che tutti sappiamo.

Il fascino come arma e l’omicidio come catarsi o come fuga dalla realtà, dal tempo che scorre, accomunano Gladys e Dorian, ma direi che le analogie si fermano qui, il valore letterario delle due opere è assolutamente incomparabile, Oscar Wilde ha tutt’altro spessore. Jezabel intrattiene ma nulla di più, cerca ripetutamente il colpaccio, ma è un colpaccio già ammiccato nelle prime pagine, non riesce a sorprendere come vorrebbe, almeno non un lettore del XXI secolo, non dimentichiamo che il libro è del 1936, ha cioè 80 anni.

Lo stile è essenziale, dialoghi, soprattutto dialoghi, poche le descrizioni e piuttosto sommarie ed un linguaggio non molto ricercato; ha comunque il pregio di una discreta scorrevolezza, anche se non sempre riesce a mantenere alta l’attenzione, soprattutto nei punti dove si intuisce anticipatamente il contenuto della pagina successiva.

Se sintetizzando al massimo Guerra e pace, Woody Allen diceva che parla della Russia, di Jezabel si può dire che anche i ricchi piangono, ma i poveri forse di più.