
"I destini si assomigliano tutti."
Una vera chicca di neppure cento pagine, un romanzo psicologico che parte con un gioco e termina con un dramma. Nel mezzo, l’arte oratoria, le piccolezze dell’animo umano, la giustizia castigatoria, il godimento dei sensi (soprattutto quelli gastroenterici), il senso di colpa.
Un processo farsa, anzi un processo per gioco, che si rivela una macchina persecutoria che evoca Kafka e il suo terribile Processo. Ma, a differenza di questo, tutto è appunto un gioco, che però rivela, non meno che nell’altro, tutta la sua tragicità.
Nessuno è innocente, sembra dire Dürrenmatt, e il castigo è dietro l’angolo, nascosto dietro una banale casualità che mai lascerebbe presagire il triste epilogo. Solo che, diversamente da Kafka, non sembra puntare il dito contro il lettore per instillare in lui il timore (terrore?) di essere il prossimo imputato di un tribunale spietato e cieco, ma lo lascia credere che a lui non potrebbe capitare. In Kafka è il processo che cerca il protagonista, in Dürrenmatt l’esatto contrario.
Nel 1972 dal romanzo è stato tratto un film con Alberto Sordi, La più bella serata della mia vita, decisamente atipico per il grande attore. Con la regia di un altro grande, Ettore Scola, la pellicola si prende alcune libertà sul testo originario, soprattutto all’inizio e alla fine, ma nel complesso risulta fedele al romanzo. Memorabile la requisitoria del pubblico ministero.