A Houat con Jonathan

Sono le sette di mattina quando apro gli occhi al termine di un lungo sonno, iniziato ieri sera prima delle dieci per via della stanchezza accumulata. Sento la pioggia picchiettare lievemente la coperta, sento il vento fischiare leggero fra le sartie, sento il mare sciabordare un poco intorno allo scafo: ecco, tre ottimi motivi per restarmene al calduccio sotto le coperte, visto pure che da un paio di giorni la temperatura si è abbassata di qualche grado e la mattina fa un po’ freschetto. Neanche dieci minuti e una lama di sole mi trafigge oltrepassando l’esile barriera costituita dalla tendina dell’osteriggio della cabina: segno che le nuvole sono passate e l’alba si sta manifestando in tutta la sua splendente pienezza. Metto il naso fuori dal tambucio e resto ammaliato dalla luce calda del primo mattino che accende l’isola di Houat, di fronte alla Bretagna, dove ho ancorato ieri pomeriggio dopo una piacevole veleggiata di circa quaranta miglia.

Non è facile da queste parti trovare un posto in cui passare la notte in tranquillità. Sia la marea che lo swell rendono impraticabile o quanto meno scomoda qualunque rada che sulla carta sembra invece offrire un buon ridosso. La prima costringe spesso a tenersi molto lontano dalla riva aumentando conseguentemente l’esposizione al secondo che, come tutti i moti ondosi, tende a insinuarsi ovunque seguendo il profilo della costa. Stanotte è andata bene perché il vento ha tenuto, ma avevo messo in conto la possibilità di un’altra notte passata a rollare oscillando come un pendolo se, contrariamente alle previsioni, avesse mollato. Eravamo tre barche in tutto a condividere la meraviglia di questo ancoraggio: quando mi sono svegliato le altre due erano già salpate via. Sulla spiaggia deserta una coppia mattiniera passeggia romanticamente insieme a un cane eccitato dai gabbiani che sembrano prendersi gioco di lui sfidandolo con la loro aerea inafferrabilità; più lui cerca di abbrancarli, più questi si spostano di qualche metro saltando via con un distratto colpo di ali.

Dopo l’incanto de L’Île-d’Yeu ho fatto una breve sosta a Pornic. Doveva essere uno scalo tecnico invece ho avuto la sorpresa di trovare una cittadina davvero graziosa, adagiata sulle rive di un canale che va quasi completamente in secca con la bassa marea lasciando le numerose imbarcazioni alla boa posarsi sul suo letto fangoso, fra gusci di ostriche selvatiche e uccelli di varie specie che razzolano guardinghi alla ricerca di un piccolo crostaceo, di un vermetto o di qualche altro cibo per loro edibile. È domenica pomeriggio e le strade sono piene di gente, per lo più famiglie e vacanzieri che si godono gli ultimi scampoli di ferie. Da domani anche in Francia riprende l’attività lavorativa a pieno ritmo e le località costiere torneranno alla loro consueta tranquillità invernale; e il costo dei porti si abbasserà, cosa che non mi dispiace affatto! Quando inizia a piovere mi rifugio sotto la tenda di un locale che serve ostriche e Muscadet; se non puoi eliminare un problema, sfruttalo a tuo favore!

Purtroppo a Pornic ho subito un piccolo danno durante la manovra di ormeggio. Non era prevista assistenza e c’erano una ventina di nodi di vento, quindi sono dovuto entrare un po’ allegrotto nel posto assegnato; di prua, come è preferibile sui finger. Il vento era al giardinetto e la poppa si è abbattuta leggermente. Nulla di ché se avessi avuto sottovento un’altra barca a vela: mi sarei appoggiato con delicatezza e i parabordi avrebbero attutito completamente il colpo. Invece c’era una barca a motore ormeggiata di poppa, con una prua altissima, di quelle molto svasate, così prima che i parabordi potessero fare il loro dovere, la battagliola si è appoggiata sulla falchetta del vicino. Nessun danno per lui, per me invece un candeliere piegato vistosamente. Così è chiaro perché barche a vela e barche a motore non devono essere ormeggiate vicine; non, come sostiene qualcuno, per incompatibilità caratteriale dei rispettivi proprietari.

Un gabbiano si posa sul pulpito di poppa, sostenendosi con le zampe sulla zattera; è un esemplare giovane, come si evince dal piumaggio, inevitabile il pensiero a Jonathan Livingston, il protagonista di un romanzo un po’ stucchevole che furoreggiava ai tempi della mia infanzia. Condivido con lui qualche momento, poi mi vedo costretto a scacciarlo prima che scambi Piazza Grande per un deposito di deiezioni aviare.

Ho diverse piccole avarie da sistemare e il meteo dei prossimi giorni suggerisce di restare in porto, quindi, anche in questo caso, sfrutterò l’avversità a mio favore. Devo solo trovarne uno con un posto disponibile, cosa niente affatto scontata da queste parti.
Sollevo l’ancora e apro le vele; la Bretagna è davanti a me.

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