Che Raz di corrent!

Dopo una breve sosta a Concarneau, in teoria una fermata tecnica, in pratica un’altra bella cittadina bretone da visitare con piacere, mi preparo ad affrontare due dei passaggi più difficili della zona, il Raz di Sein e il canale di Ouessant, per entrare così nel canale della Manica. Sia Sein che Ouessant sono piccole isole, e fra loro e la terraferma la corrente di marea subisce forti accelerazioni che condizionano pesantemente la navigazione. Faccio una prima giornata di vela fino a una piccola baia dove trovo dei gavitelli liberi e ci passo una notte non tranquillissima ma dignitosa. Poi, prima dell’alba, mollo la boa e apro le vele per sfruttare il vento perfetto da sud che avrò al traverso per una decina di miglia e poi in poppa una volta entrato nel Raz di Sein. Secondo le previsioni, quando sarò lì, dovrei avere circa un paio di nodi di corrente contraria: avanzerò lentamente, ma avanzerò. Il sole si solleva pigramente alle mie spalle infuocando maestosamente il cielo intorno alle grosse nuvole addensate sull’orizzonte; superb!

Quando sono a poche centinaia di metri dall’iconico faro del Raz, quello posto su un piccolo scoglio e fotografato spesso nella tempesta, vedo le onde, che sono alte un paio di metri, spianarsi improvvisamente e intuisco che la corrente è ben più forte. Appena esco dal ridosso del promontorio prospicente l’isola di Sein, un violento flusso d’acqua mi investe e malgrado il LOG segni una velocità di cinque nodi abbondanti per rotta 340°, il GPS mi indica una velocità di meno di un nodo con direzione 220°. Ho acqua sottovento quindi sono tranquillo, ma certo che così non vado da nessuna parte! Decido di dare un’aiutino con il motore e riesco a rimettere più o meno la barca in rotta e a percorrere le due miglia e mezzo del canale in circa un’ora e mezza. Nel frattempo mi godo lo spettacolo maestoso di un mare che a tratti ribolle, sotto un cielo plumbeo da cui ogni tanto viene giù uno scroscio di pioggia. C’è un’atmosfera surreale: la superficie del mare su cui avanzo lentamente è piatta ma a poca distanza vedo onde importanti, mentre sopra di me volteggiano sterne e cormorani con le ali ferme, in planata sul vento.

Siamo in periodo sigiziale quindi il coefficiente di marea è altissimo, ma la stessa forza che ho in opposizione nel giro di poche ore volge a mio favore e Piazza Grande inizia a correre di vento, di onde, e di corrente a oltre otto nodi, recuperando in fretta il tempo perso al Raz. In queste condizioni il canale di Ouessant lo affronto con relativa semplicità, a parte l’attenzione alle numerose segnalazioni marittime – boe cardinali oppure mede rosse e verdi – che indicano il percorso corretto per non finire a scogli in questo che è un vero e proprio campo minato. Passato Ouessant il vento aumenta, la corrente aumenta, le onde aumentano e la velocità supera spesso i dieci nodi. Inizia anche a piovere forte e, visto che in giro non c’è nessuno, chiudo il tambucio e me ne resto sottocoperta, aggiustando di tanto in tanto la rotta grazie a telecomando dell’autopilota che ho provvidenzialmente installato prima di partire. Piazza Grande fa la sua parte in modo eccellente.

La mia destinazione è l’Aber-Wrac’h, un fiume che si trova proprio all’ingresso della Manica e al cui interno, a un paio di miglia dal mare, c’è un piccolo porto che ho già contattato, anche per chiedere eventuale assistenza all’ormeggio visto che sono da solo e la corrente e il vento sono molto forti, quest’ultimo oltre i trenta nodi. L’ingresso nel fiume ha un percorso rigidamente segnalato ma per entrare devo orzare molto e quindi mi ritrovo quasi di bolina, investito da pioggia e schizzi di acqua di mare. Mi riparo dietro lo sprayhood mettendo di tanto in tanto la testa fuori per controllare e dare quale piccola aggiustatina alle vele o alla rotta. Speravo che l’onda calasse una volta dentro ma non è così: l’alta marea ha sommerso tutti gli isolotti che potevano smorzare il mare e devo percorrere un lungo tratto prima che l’acqua si quieti.

Sono stanco, domani vorrei salpare presto, e l’idea di entrare in porto e perdere tempo sia per l’ormeggio che per registrarmi non mi esalta. Davanti all’ingresso ci sono alcune barche alla boa, decido di unirmi a loro quando mi si accosta il gommone del porto per offrirmi aiuto nel passare la cima nel gavitello: un bel colpo di fortuna per una manovra che da solo con vento forte è davvero difficile. Pago direttamente al tizio in gommone, poi spengo il motore e insieme si spegne tutto il movimento che ha accompagnato questa lunga giornata di navigazione. Al tramonto il vento cala fino quasi a esaurirsi e il silenzio scende su questa meravigliosa insenatura dall’atmosfera lacustre. Stappo un prosecco per festeggiare l’ingresso nella Manica, o English Channel che dir si voglia, e brindo a questo mare difficile ma entusiasmante.
Alla via così!

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