
Tra le tante difficoltà della navigazione nella Manica c’è il fatto che i porti sono spesso accessibili solo in determinate condizioni di marea. Alcuni vanno addirittura completamente in secco con la bassa ed è incredibile vedere le imbarcazioni adagiate sul fango che l’acqua ritirandosi lascia dietro di sé. Sono porti in cui stazionano piccole barche a motore e qualche volta barche a vela con la doppia deriva oppure attrezzate con due pali di sostegno laterali che impediscono loro di finire coricate su un fianco. Altri, per ovviare al problema, hanno una chiusa all’ingresso che viene serrata quando la marea cala, così da trattenere l’acqua e permettere alle barche di galleggiare anche quando fuori tutto si trasforma in una palude. Infine ci sono i porti accessibili in qualunque condizione, ma non sono molti e non sempre la distanza fra di essi è percorribile in una giornata di navigazione.



Un porto in seccoNavigare di notte oppure arrivare di notte in un porto sconosciuto sono due cose che stando da solo a bordo in queste acque difficili preferisco evitare. In mare è normale fare lo slalom fra una quantità enorme di segnalazioni marittime e pedagni di attrezzature da pesca, e la corrente di marea provoca spesso una deriva tale che senza una buona visuale è difficile valutare esattamente se si è sulla traiettoria giusta per evitare un ostacolo; figuriamoci se l’ostacolo non è ben visibile! Ma la corrente è spesso forte anche dentro il porto e quindi, anche in considerazione del fatto che è molto raro avere assistenza a terra durante l’ormeggio, senza luce tutto diventa molto complicato, se non pericoloso. Insomma, la rotta va programmata nel modo più accurato possibile per evitare brutte sorprese.



Il porto di TrébeurdenLascio la boa nell’ansa protetta dell’Aber Wrach’ con discreta calma, tanto le miglia in programma non sono molte, poco più di trenta; l’idea è di arrivare fino a Roscoff dove c’è un bellissimo e moderno marina accessibile in qualunque condizione. Le previsioni danno vento fino a trenta nodi, ma sarà portante quindi non sarà una navigazione pesante. Inizialmente ho la corrente contraria e avanzo piuttosto lentamente, poi verso l’ora di pranzo si inverte e Piazza Grande inizia a correre sull’acqua come un cavallo lanciato al galoppo fra onde alte un paio di metri. Sul VHF sento lanciare un Pan Pan ma qui gli avvisi via radio vengono dati solo in francese e non riesco a capire di cosa si tratti.
Decido di chiamare il porto, più per avere informazioni sull’ingresso che altro, perché in Bretagna generalmente non vengono accettate prenotazioni: – Mi dispiace, – mi risponde una voce cortese all’altro capo del telefono – ma oggi ospitiamo una tappa della regata Solitaire du Figaro e quindi non abbiamo alcuna disponibilità di ormeggio. -Fantastico!



TrébeurdenIl piano B, perché in mare bisogna sempre avere un piano B, è Trébeurden, che però è uno di quei porti con la chiusa e inoltre richiede circa quindici miglia di navigazione in più. Chiamo, per sicurezza, perché se anche qui dovessero darmi buca sarei nei guai. Il posto c’è, la chiusa apre alle 17:30 ma per il mio pescaggio mi consigliano di aspettare fino alle 18:30. Nessun problema perché non credo di arrivare prima di quell’ora. Mi dicono dove mettermi ma ovviamente per la manovra di attracco dovrò vedermela da solo. Le condizioni meteo intanto si sono fatte piuttosto dure: i trenta nodi di vento previsti ci sono abbondantemente tutti, la corrente e il mare formato pure e come ciliegina sulla torta ogni mezzora una scarica di pioggia. Io però trovo tutto questo terribilmente affascinante altrimenti sarei restato a fare gli aperitivi in rada alla Maddalena.



TrébeurdenIn prossimità del porto mi si presenta un problema non da poco: uscire dal pozzetto per mettere i parabordi e le cime per l’ormeggio, perché con quest’onda il pilota automatico ha bisogno di velocità per mantenere un minimo la rotta. Compio dei numeri da equilibrista fra gli scogli davanti all’ingresso e un campo boe dove le barche saltano come marionette, facendo avanti e indietro diverse volte, poi torno al timone e punto deciso la chiusa, larga solo una decina di metri, poco più del doppio di Piazza Grande. Una volta dentro provo a infilarmi in un finger ma la corrente mi dà chiari segnali che da solo non avrei il tempo di saltare a terra a mettere le cime prima che la barca venga trascinata via. Dall’unica imbarcazione al pontile dei transiti vedo una testa sporgersi dal tambuccio, gli faccio un cenno e vengono ad aiutarmi. Un po’ maldestramente ma, bene o male, alla fine sono ormeggiato: alla faccia del groppo durato giusto i dieci minuti della manovra!
Tiro un sospiro di sollievo e stappo una birra: al crepuscolo è la giusta ricompensa per questa faticosa giornata.