
"In una società in cui tutto è permesso ma nulla è possibile, ognuno deve imparare a convivere con la consapevolezza che probabilmente non diventerà mai se stesso."
Decisamente uno dei saggi più interessanti che ho letto negli ultimi tempi, una via di mezzo fra l’analisi sociologica e il trattato filosofico, con sconfinamenti in molte altre branche del sapere umano, dall’economia, alla storia, alla psicologia.
Parte dal presupposto che il paradigma su cui si è fondata la società occidentale dell’ultimo secolo, quello del benessere basato sulla crescita, è ormai insostenibile e che lo stesso sia alla base dell’insoddisfazione generalizzata della classe media, le cui aspettative di crescita personale sono nella maggior parte dei casi irraggiungibili, malgrado percorsi formativi interminabili. Non è certo un inedito scoop ma l’originalità dell’autore, antropologo e ricercatore a Parigi, sta nell’illustrarlo attraverso diversi personaggi letterari e cinematografici in modo acuto spaziando da Amleto a Fantozzi, ma anche Ibsen, Spinoza, Kant, Freud e tantissimi altri grandi protagonisti della cultura degli ultimi secoli.
La dicotomia fra avere ed essere, stigmatizzata nel celebre libro di Fromm, ci spiega Ventura, è ormai superata perché l’uomo di questa epoca per adempiere al comandamento morale di diventare ciò che è, di realizzarsi cioè come individuo, ha bisogno di avere, e avere è diventato sempre più difficile a causa della scarsità delle risorse o dell’insostenibilità del loro consumo. Un esempio banale? Io sono un velista ma lo sono in virtù del fatto che posso permettermi di pagare di tasca mia il fatto di esserlo. Se dovessi farmi pagare da altri, un sponsor ad esempio, mi scontrerei con la tragica realtà che gli aspiranti sponsorizzati sono in numero infinitamente superiore ai potenziali sponsor.
La salvezza, se di salvezza si può parlare, risiede non tanto nella capacità di ridurre i propri bisogni (un concetto tutt’altro che recente anche se ultimamente lo si chiama downshifting) ma nell’accettare l’infelicità e la malinconia per ciò che sono, ovvero normali stati d’animo e non patologie da curare con terapie farmacologie o psichiche. E sì, perché la ricerca del sé sembra essersi trasformata da opportunità in condanna. Questo ha trasformato la borghesia da classe privilegiata in classe disagiata che da anni si batte più per conservare ciò che ha che per accrescerlo; e perdere cento euro fa incazzare molto di più di quanto faccia gioire vincere la stessa cifra al superenalotto.
Mala tempora currunt… ce lo dice la cronaca, le guerre in corso, le trasformazioni climatiche o geopolitiche. Ventura ce lo sbatte in faccia, forse con un pizzico eccessivo di pessimismo, a volte in salsa marxiana, ma certo che tutti i torti non li ha.