
“Nessuno sa qual è il punto finale di un essere umano"
Provo sempre una grande gioia quando incappo inaspettatamente in un romanzo di grande qualità, ancora di più se arriva dopo alcune letture non esaltanti di autori che invece in altre occasioni ho apprezzato molto. In Non esisto di Alberto Schiavone c’è spessore letterario, capacità narrativa, stile originale, analisi introspettiva dei personaggi senza indulgente pietismo né, al contrario, giudicante moralismo; il tutto condito da un pizzico di poesia.
Una giovane donna esce dal carcere dopo aver scontato una pena per un reato di cui non si hanno dettagli, e si ritrova ad affrontare le ordinarie difficoltà della vita quotidiana in solitudine e senza risorse economiche, ricostruendo la propria esistenza un po’ alla volta con tenacia, combattendo con i propri fantasmi interiori e un passato che riemerge per ricondurla nell’abisso.
Quello che colpisce di questo romanzo, per parafrasare Hannah Arendt, è la banalità del dramma, la sensazione cioè che a volte il confine tra un’esistenza serena e appagante e l’inferno sia davvero sottile e per buona parte affidata al caso. Avete presente il bellissimo Match point di Woody Allen? Quando la pallina prende il nastro, nulla del nostro destino è più nelle nostre mani.
Una sensazione simile l’ho avuto con Il sole dei morenti, di Jean-Claude Izzo, in cui si narra di un uomo, un piccolo borghese che conduceva una vita tranquilla e che in un attimo perde tutto, famiglia, lavoro, casa, e diventa un barbone di strada, di quelli sporchi e maleodoranti che tutti evitano. La sensazione chiarissima, al termine della lettura, fu che può capitare a chiunque, la stessa sensazione che ho quando osservo gli avventori della mensa dove ogni tanto vado a cucinare come volontario.
Il punto quindi, come anche evocato dalla copertina, è cosa fare della libertà quando usciamo dalla gabbia. Maria, la protagonista, sente di non esistere perché le manca il riconoscimento degli altri e gli esseri umani, in quanto animali sociali, non sono in grado di sopravvivere isolati perché la loro marginalizzazione diventa la gabbia immateriale da cui è più difficile liberarsi.
Davvero da leggere!








