Non esisto – Alberto Schiavone

Nessuno sa qual è il punto finale di un essere umano"

Provo sempre una grande gioia quando incappo inaspettatamente in un romanzo di grande qualità, ancora di più se arriva dopo alcune letture non esaltanti di autori che invece in altre occasioni ho apprezzato molto. In Non esisto di Alberto Schiavone c’è spessore letterario, capacità narrativa, stile originale, analisi introspettiva dei personaggi senza indulgente pietismo né, al contrario, giudicante moralismo; il tutto condito da un pizzico di poesia.

Una giovane donna esce dal carcere dopo aver scontato una pena per un reato di cui non si hanno dettagli, e si ritrova ad affrontare le ordinarie difficoltà della vita quotidiana in solitudine e senza risorse economiche, ricostruendo la propria esistenza un po’ alla volta con tenacia, combattendo con i propri fantasmi interiori e un passato che riemerge per ricondurla nell’abisso.

Quello che colpisce di questo romanzo, per parafrasare Hannah Arendt, è la banalità del dramma, la sensazione cioè che a volte il confine tra un’esistenza serena e appagante e l’inferno sia davvero sottile e per buona parte affidata al caso. Avete presente il bellissimo Match point di Woody Allen? Quando la pallina prende il nastro, nulla del nostro destino è più nelle nostre mani.

Una sensazione simile l’ho avuto con Il sole dei morenti, di Jean-Claude Izzo, in cui si narra di un uomo, un piccolo borghese che conduceva una vita tranquilla e che in un attimo perde tutto, famiglia, lavoro, casa, e diventa un barbone di strada, di quelli sporchi e maleodoranti che tutti evitano. La sensazione chiarissima, al termine della lettura, fu che può capitare a chiunque, la stessa sensazione che ho quando osservo gli avventori della mensa dove ogni tanto vado a cucinare come volontario.

Il punto quindi, come anche evocato dalla copertina, è cosa fare della libertà quando usciamo dalla gabbia. Maria, la protagonista, sente di non esistere perché le manca il riconoscimento degli altri e gli esseri umani, in quanto animali sociali, non sono in grado di sopravvivere isolati perché la loro marginalizzazione diventa la gabbia immateriale da cui è più difficile liberarsi.
Davvero da leggere!

Alla larga da Venezia – Franco Gilberto, Giuliano Piovan

"I marinai, stivata la memoria delle cose tristi in un cassone di rovere, sono capaci di chiamare all'appello ogni scampolo di miele gustato nel loro vagabondare, per giustificare scelte incomprensibili alla gente di terra"

Mi sono imbattuto in questo meraviglioso libro leggendone casualmente una recensione. Confesso che se l’avessi visto in libreria non l’avrei mai preso perché dal titolo avrei desunto un’ambientazione geografica che in questo momento non è in cima ai miei interessi. E invece no, calza perfettamente a pennello con le mie prossime e imminenti navigazioni.

Narra le vicende di Pietro Querini, nobile e ricco mercante veneziano, che nella prima metà del Quattrocento parte con una nave da Candia (Creta) per trasportare merci da vendere nelle Fiandre. Toh, proprio la mia rotta! La nave perde il timone, probabilmente a causa di un errore progettuale e resta senza governo, andando alla deriva per mesi fino ad approdare casualmente su una piccola isola delle Lofoten, in Norvegia, oltre il circolo polare artico, dove i naufraghi vengono accolti benevolmente dalla popolazione locale.

La storia è incredibilmente vera, anche se ovviamente romanzata, ed è raccontata in modo magistrale dagli autori, due giornalisti veneziani, che l’hanno ricostruita partendo dal resoconto redatto da Querini una volta rientrato in patria. Nello scritto si alternano parti narrate a testi scritti dai personaggi della storia nel linguaggio colto dell’epoca; lettere e pagine di diari immaginati. Divertenti anche i dialoghi fra i marinai, in dialetto veneziano stretto, supportanti fortunatamente da note con la traduzione.

Un romanzo storico pressoché perfetto, nello stile, nell’avvincere il lettore trasportandolo nelle atmosfere dell’epoca in tanti posti diversi (Creta, Venezia, Norvegia, Germania, Londra), nel descrivere fatti e personaggi cui non si riesce a non affezionarsi.
Bellissimo!

Un oceano di emozioni – Jasna Tuta

"Sul mare impariamo che nulla è eterno. Tutto è fugace."

Davvero un bel lavoro questo libro di Jasna Tuta che racconta una traversata del Pacifico, dal Messico alle isole Marchesi, su una piccola barca a vela, in coppia con il compagno. Innanzitutto perché ben scritto: chiaro nello stile ma non privo di alcuni guizzi di eleganza letteraria. Ma soprattutto per l’originalità dell’impostazione.

Invece del solito diario di bordo che riferisce noiosi punti nave quali conquiste verso l’agognata meta, Jasna ha stilato un diario emozionale, ha raccolto cioè le mille emozioni, dalla gioia al terrore, dall’amore al dolore, che si alternano inevitabilmente quando si fanno navigazioni di lungo raggio.

È quindi un resoconto realistico e non uno dei tanti libri che spacciano per facile e idilliaca la navigazione oceanica; ed è proprio la sua onestà a renderlo interessante e prezioso, perché restituisce un’immagine veridica dell’andar per mare, arricchito da tante considerazioni interessanti e originali.

Ho avuto il piacere di ospitare Jasna al Mare sul Divano e ne è venuta una serata bellissima, in cui siamo rimasti tutti incantati ad ascoltare le sue storie di mari remoti, narrate con semplicità e con una grande carica di simpatia innata.
Da leggere!

Sono felice, dove ho sbagliato? – Diego De Silva

"Non è che se dici quello che pensi sei sincero. La sincerità non è un'emissione indiscriminata di parole a vanvera. Non è sfrontata, è timida. Non offende se non è offesa. La sincerità si esprime in modi che inventa di volta in volta. Appare. È un'improvvisazione poetica su un tema che ti sta a cuore. Ci vuole sensibilità, per essere sinceri."

Un nuovo episodio dell’avvocato Malinconico, che conferma la qualità della penna di Diego De Silva, il suo creatore, capace di muoversi agilmente fra digressioni acute e umorismo sottile che spesso spiazzano positivamente il lettore.

Stavolta l’avvocato è alle prese con un gruppo di delusi in amore che vorrebbero trasformare le loro ferite del cuore in una class action contro i partner per ottenere da questi un risarcimento economico per il dolore patito.

Il comico e il grottesco si mescolano abilmente nel consueto stile di De Silva che alterna dialoghi serrati e riflessioni sul mondo che circonda il protagonista, spesso fatte da lui medesimo con ironia sottile, rendendo divertenti anche situazioni altrimenti tragiche.

Nulla a che vedere con la serie TV che, seppure piacevole, ha reso il personaggio di Malinconico un imbranato, cosa che nei libri non è assolutamente.
Davvero divertente, da leggere!

Gli innamoramenti – Javier Marías

"Ci si abitua a vivere dipendendo dall'opportunità che non arriva, tranquilli in fondo, al sicuro e passivi, increduli in fondo che possa mai presentarsi."

Marías è uno di quegli autori che compro quando non ho le idee chiare su cosa ho voglia di leggere: perché so che non tradisce, so già che mi piacerà da morire, che mi trascinerà nei suoi racconti e nelle sue riflessioni. E con lo stile elegante della sua scrittura, una vera e propria esplosione di ipotassi.

Gli innamoramenti è una disamina profonda di alcune relazioni amorose che si intersecano fra loro (ma non nel senso del tradimento) e che l’autore fa assurgere a paradigma dei rapporti sentimentali che legano gli uomini e le donne fra loro, condendo la narrazione con una vicenda che assume i toni del giallo man mano che la lettura procede.

Marías sa, come pochi, scavare nell’animo umano più profondo per leggervi dentro e mostrarci, dopo tutto, noi stessi. E lo fa con un passo lento ma inesorabile, che ci cattura con le sue mille e acute digressioni, e ci fa quasi implorarlo di andare avanti, di svelarci l’evoluzione di una storia che fino all’ultima pagina resta aperta a tutte gli epiloghi possibili.

Intorno all’amore, in questo bellissimo romanzo, gravitano la gioia, la memoria, l’oblio, la vergogna, la colpa, le debolezze umane, il dolore, la sofferenza, la menzogna e anche la morte, che mescola le carte in modo più oscuro delle iniziali apparenze. Ad arricchire ulteriormente le pagine del libro, un’enorme quantità di citazioni letterarie che sono vere e proprie analisi critiche.

La panne – Friedrich Dürrenmatt

"I destini si assomigliano tutti."

Una vera chicca di neppure cento pagine, un romanzo psicologico che parte con un gioco e termina con un dramma. Nel mezzo, l’arte oratoria, le piccolezze dell’animo umano, la giustizia castigatoria, il godimento dei sensi (soprattutto quelli gastroenterici), il senso di colpa.

Un processo farsa, anzi un processo per gioco, che si rivela una macchina persecutoria che evoca Kafka e il suo terribile Processo. Ma, a differenza di questo, tutto è appunto un gioco, che però rivela, non meno che nell’altro, tutta la sua tragicità.

Nessuno è innocente, sembra dire Dürrenmatt, e il castigo è dietro l’angolo, nascosto dietro una banale casualità che mai lascerebbe presagire il triste epilogo. Solo che, diversamente da Kafka, non sembra puntare il dito contro il lettore per instillare in lui il timore (terrore?) di essere il prossimo imputato di un tribunale spietato e cieco, ma lo lascia credere che a lui non potrebbe capitare. In Kafka è il processo che cerca il protagonista, in Dürrenmatt l’esatto contrario.

Nel 1972 dal romanzo è stato tratto un film con Alberto Sordi, La più bella serata della mia vita, decisamente atipico per il grande attore. Con la regia di un altro grande, Ettore Scola, la pellicola si prende alcune libertà sul testo originario, soprattutto all’inizio e alla fine, ma nel complesso risulta fedele al romanzo. Memorabile la requisitoria del pubblico ministero.

Io? – Peter Flamm

"Ci infiliamo in un vestito, appendiamo una veste sui nostri corpi nudi, andiamo a lavorare e solo allora siamo esseri umani."

Davvero un capolavoro questo breve romanzo di Peter Flamm, pseudonimo di Erich Mosse, psichiatra di professione ma dotato evidentemente di grandissimo talento letterario, che come un fiume in piena travolge il lettore con uno stile serratissimo, quasi da flusso di coscienza, senza mai perdere il ritmo, annoiare o, al contrario, rendere affannoso lo scorrere delle pagine.

Un uomo, un affermato e noto medico berlinese, torna a casa alla fine del primo conflitto mondiale convinto di essere un’altra persona e di aver rubato documenti e identità a un soldato morto. Il racconto procede lungo un ondivago sdoppiamento di personalità del protagonista per concludersi con un colpo di scena che spiazza e che lascia la porta aperta a diverse interpretazioni.

Il tema è la ricerca di sé, una questione storicamente nuova in un’epoca in cui la vita di ciascun essere umano stava cessando di essere predestinata dalla nascita. Era da poco morto Nietzsche, il filosofo che, riprendendo Pindaro, aveva pronunciato il fatidico diventa ciò che sei. Prima, tutti diventavano ciò che il contesto in cui nascevano stabiliva: scoprire ciò che si è era una questione che semplicemente non si poneva.

Sottotraccia, un persistente senso di ambiguità: chi è davvero l’uomo che narra, quali sono i fatti reali, cosa è vero e cosa è falso. Si tratta, alla fine, di quegli interrogativi che spesso ci portiamo appresso per tutta la vita, a volte senza risolverli mai, a volte cercando negli altri quel riconoscimento che dentro di noi non riusciamo a trovare, spersi tra alienazione metropolitana e omologazione globale.
Imperdibile!

Diario d’inverno – Paul Auster

"Il punto è in che misura una persona possa restare umana mentre è sospesa in uno stato di impotenza e degrado."

Una specie di autobiografia non cronologica, un diario di memorie, il racconto degli episodi salienti dell’esistenza dell’autore, quelli che l’hanno segnato, fatto crescere umanamente o letterariamente, una collezione di appunti sparsi resi in qualche modo organici.

La terza età è tempo di bilanci, soprattutto per una personalità riflessiva e intimista come Auster, che non si è sottratto al desiderio di fissare su carta la storia della sua vita e l’ha fatto con la sua grande capacità letteraria, dando la possibilità, a chi è interessato, di scoprire come ha vissuto e cosa macinava nella sua mente un grande scrittore.

Non è la prima volta che Auster schiude l’uscio per lasciar vedere ciò che avviene dentro le sue giornate: memorabile il suo L’invenzione della solitudine, in cui racconta la morte del padre. Solo che in quest’ultimo la narrazione riesce ad assumere toni universali e dare al lettore spunti di riflessione per se stesso o comunque colpire per profondità di analisi, mentre nell’altro tutto si riduce spesso in elenchi freddi, come quello delle case in cui ha vissuto, delle donne che ha amato, delle cicatrici che ha sul corpo, delle malattie che l’hanno colpito.

E in effetti è proprio il corpo il filo conduttore di questo scritto che sinceramente, malgrado uno stile impeccabile, non riesce ad avvincere. Scorrendo le pagine ho avuto il sospetto che rispondesse soprattutto alla voglia dell’autore di fare una sorta di inventario della sua vita, di scrivere quindi principalmente per se stesso o per la ristretta cerchia delle persone con cui gli episodi narrati ha condiviso realmente.

La vegetariana – Han Kang

"Prima che mia moglie diventasse vegetariana, l’avevo sempre considerata del tutto insignificante."

Un libro triste che racconta la storia triste di gente triste. Al netto di questo, un romanzo sulla libertà di disporre autonomamente del proprio corpo e quindi della propria vita ma nella consapevolezza che le proprie scelte sono condizionate da questioni esterne a sé: dalle convenzioni familiari a, banalmente, il caso.

Non è un racconto sull’ortoressia, che nel caso della protagonista si accompagna a un profondo disturbo psichiatrico che la porta progressivamente a respingere qualunque tipo di cibo, ma piuttosto una riflessione sul male di vivere e sul rifiuto degli schemi sociali.

Colpiscono i rapporti interpersonali fra i protagonisti, legati da stretti vincoli familiari eppure rigidi, incapaci di comunicare in modo limpido e di scambiare emozioni sincere o semplicemente lasciarsi andare. Nessuno sembra essere libero, neanche chi detiene il potere all’interno del proprio ambito, e soprattutto nessuno sembra essere minimamente felice della propria vita.

La versione italiana è la traduzione della traduzione dal coreano all’inglese; impossibile quindi esprimere una qualche opinione relativamente allo stile che, nel testo nella nostra lingua, non appare particolarmente brillante.

Sottomissione – Michel Houellebecq

Non mettono al centro di tutto l'economia. Per loro l'essenziale è la demografia, e l'istruzione: il sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che riesce a trasmettere i propri valori, trionfa.

Romanzo fantapolitico che immagina una realtà distopica in cui il candidato di un partito musulmano vince le elezioni presidenziali in Francia, avviando rapidamente il paese verso una shariah soft ma non per questo priva di tutti quegli elementi in tremendo contrasto con i valori occidentali, a cominciare dalla poligamia.

Il libro, pubblicato nel 2015, si svolge dal 2022 a seguire, in un futuro diventato ormai presente, dandoci la possibilità di verificare a posteriori l’esattezza di alcune analisi dell’autore sugli equilibri politici francesi e internazionali, a cominciare dalla marginalizzazione dei due schieramenti politico-ideologici che hanno dominato la scena politica mondiale degli ultimi decenni, sinteticamente la destra e la sinistra.

Quello che inizialmente appare come un attacco all’islam politico è in realtà una critica alla società occidentale, tema molto caro a Houellebecq e ricorrente in molti suoi romanzi; una società che appare gaudente ma amorfa e priva di valori, come spesso nella storia le società che costituiscono gli imperi prossimi al loro termine.

Il titolo altro non è che la traduzione letterale del termine islam, che significa appunto sottomissione. Il protagonista, un docente universitario tipicamente francese, si ritrova nel finale ad accettare la conversione religiosa, sottomettendosi, per il bieco interesse di riottenere la cattedra perduta e sposare un paio di giovani studentesse.

Amo Houellebecq e credo che come Philip Roth abbia saputo raccontare in modo magistrale i tormenti interiori dell’uomo (maschio) occidentale. Forse non è un caso che anche l’americano abbia scritto un eccellente romanzo di fantapolitica: Il complotto contro l’America, in cui, invece degli islamisti, vincono le elezioni del 1942 negli USA i filonazisti. Cambia la bandiera ma la sostanza è la stessa: la distruzione dei principi di libertà affermatisi con l’illuminismo e la rivoluzione francese.