
"Il punto è in che misura una persona possa restare umana mentre è sospesa in uno stato di impotenza e degrado."
Una specie di autobiografia non cronologica, un diario di memorie, il racconto degli episodi salienti dell’esistenza dell’autore, quelli che l’hanno segnato, fatto crescere umanamente o letterariamente, una collezione di appunti sparsi resi in qualche modo organici.
La terza età è tempo di bilanci, soprattutto per una personalità riflessiva e intimista come Auster, che non si è sottratto al desiderio di fissare su carta la storia della sua vita e l’ha fatto con la sua grande capacità letteraria, dando la possibilità, a chi è interessato, di scoprire come ha vissuto e cosa macinava nella sua mente un grande scrittore.
Non è la prima volta che Auster schiude l’uscio per lasciar vedere ciò che avviene dentro le sue giornate: memorabile il suo L’invenzione della solitudine, in cui racconta la morte del padre. Solo che in quest’ultimo la narrazione riesce ad assumere toni universali e dare al lettore spunti di riflessione per se stesso o comunque colpire per profondità di analisi, mentre nell’altro tutto si riduce spesso in elenchi freddi, come quello delle case in cui ha vissuto, delle donne che ha amato, delle cicatrici che ha sul corpo, delle malattie che l’hanno colpito.
E in effetti è proprio il corpo il filo conduttore di questo scritto che sinceramente, malgrado uno stile impeccabile, non riesce ad avvincere. Scorrendo le pagine ho avuto il sospetto che rispondesse soprattutto alla voglia dell’autore di fare una sorta di inventario della sua vita, di scrivere quindi principalmente per se stesso o per la ristretta cerchia delle persone con cui gli episodi narrati ha condiviso realmente.
