
La storia, come è noto, la scrivono i vincitori, e spesso cominciano a scriverla molto prima di aver vinto. Quella dell’Impero Ottomano, vista con l’occhio occidentale, è stata molto spesso semplificata al punto da condensarla nell’espressione “Mamma, li turchi!”, una frase che evoca il terrore di invasioni e devastazioni piratesche sulle nostre coste. La realtà, non appena si cerca di documentarsi un po’, si rivela assai diversa. Innanzitutto, non si trattava di pirati ma di corsari, una differenza non lessicale ma di sostanza: pirati erano coloro che depredavano qualunque nave per tornaconto personale, mentre i corsari agivano su mandato del proprio sovrano e indirizzavano le proprie azioni solo nei confronti dei nemici istituzionali. Era la “guerra di corsa”, ed era combattuta da tutti gli schieramenti: la Superba e la Serenissima, cioè le repubbliche di Genova e Venezia, assalivano le coste anatoliche con le medesime cruente modalità dei corsari turchi.
Tra i più famosi pirati/corsari del Cinquecento c’è Dragut Rais, il protagonista di questo romanzo di Simone Perotti. All’autore va il merito di aver raccontato le vicende di quel periodo in modo onesto, senza alcun pregiudizio ideologico, rifuggendo quelle letture forzate della Storia in chiave contemporanea che vedono (o si sforzano di vedere) i conflitti dei nostri giorni come una riedizione dell’atavica contrapposizione fra Islam e Cristianità. È un libro che racconta di uomini, traccia la loro storia contestualizzandola nella Storia, ne mostra forza e debolezza, pietà e crudeltà, odio e amore, facendoli però sempre restare quello che tutti noi siamo: essere umani. Che non significa minimizzare i crimini o perdersi nell’indulgenza, ma piuttosto cercare di comprendere l’altro, il nemico, anziché limitarsi a demonizzarlo.
La ricostruzione storica è davvero eccellente: un libro così non si improvvisa, ma richiede che per anni si legga, si studi e, perché no, si vada personalmente nei luoghi che fanno da scenario al racconto che, in questo caso, è praticamente tutto il Mar Mediterraneo. Ci sono imperi, battaglie, trame di potere, scoperte geografiche; ma anche vicende amorose, personali e i dubbi esistenziali, questi, sì, decisamente attuali, dei protagonisti. Perché Perotti ha l’indubbia capacità di leggere nell’animo delle persone e di descrivere molto bene ciò che vede; ed ecco, allora, che in certe pagine fa interrogare il lettore su se stesso e quasi lo sprona a tentare nuove strade anziché restare imprigionato nelle proprie paure né, tantomeno, nei propri successi.
È un romanzo a più voci: quelle dei principali protagonisti, le cui vicende vanno progressivamente intrecciandosi in modo indissolubile. Cinquecento pagine che scorrono via senza intoppi, senza mai perdere il ritmo: incessante e ricco di avvenimenti, fatti storici, riflessioni. Quando un libro riesce a traslarti nel suo mondo e a trattenerti lì con la mente durante i giorni che lo hai fra le mani, credo che abbia raggiunto il più grande degli obiettivi. E questo lo fa in modo molto fluido, senza troppi artifici letterari, pur essendo, certamente, un romanzo strutturato in modo non casuale.
Ho conosciuto Simone a Cefalonia, in Grecia, alcuni anni fa, quando casualmente ci siamo trovati ormeggiati vicini con le nostre rispettive barche e abbiamo passato un paio di serate a chiacchierare. Oltre alla passione per il mare e la navigazione, ci accomuna l’amore per quelle terre, la Grecia e la Turchia innanzitutto, e per quelle genti, che continuano a considerare ciò che arriva dal mare come un’opportunità, malgrado dal mare abbiano ricevuto spesso dolore: un’apertura mentale che ha il sapore dell’acqua salata, quella che trasuda copiosa da queste pagine.