
Tre piani di una palazzina borghese in un quartiere residenziale e tranquillo, tre storie diverse e disgiunte fra loro che si sfiorano appena, osservandosi con l’educato distacco che in certi ambienti si conviene fra vicini per bene.
Ma anche i tre piani freudiani dell’essere – Es, Io e Super-io – rappresentati ciascuno rispettivamente in uno di questi tre racconti, attraverso tre vicende esemplari: un uomo onesto ma pulsionale che si mette nei guai proprio a causa del suo carattere; una donna persa in un intreccio sfumato di realtà e fantasia; una giudice in pensione, vittima indiretta della severità che il suo stesso ruolo professionale impone.
Tre modalità diverse di raccontare: la confidenza verbale con un amico, una lunga lettera e un curioso monologo con una vecchia segreteria telefonica cui risponde la voce registrata di una persona scomparsa; tutte in forma autobiografica di flusso di coscienza, un altro evidente richiamo freudiano.
All’autore il merito di una narrazione che ha il giusto pathos senza provocare inutile ansia nel lettore, malgrado tutte e tre le storie abbiano una forte carica di suspense. Di contro, un libro che, malgrado sia molto coinvolgente e decisamente azzeccato nel disegnare personaggi e situazioni, sembra costruito a tavolino più che scaturito direttamente dalla pancia dello scrittore.
In altri termini, l’ottima opera di un artigiano piuttosto che il guizzo geniale di un artista, che solo nelle ultimissime pagine sembra invece ammantarsi di passionalità per quanto forse inutilmente venata di moralismo.
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