Un cuore così bianco – Javier Marías

"Ciò che sentii quella notte dalle labbra di Ranz non mi sembrò veniale né mi sembrò ingenuo né mi provocò sorrisi, ma mi sembrò passato. Tutto lo è, anche ciò che sta accadendo."

Javier Marías è assolutamente un fuoriclasse. Non solo per uno stile di scrittura elegante e raffinato ma anche per la sua straordinaria capacità di lanciarsi in divagazioni, apparentemente fuori contesto, la cui funzionalità alla narrazione si svela al lettore mano mano che le pagine avanzano.

Un cuore così bianco è un romanzo sul segreto e sulla sua custodia, sul tradimento, sul dolore, sul senso di colpa, sul dubbio. Ma è anche un racconto sulla fiducia che accordiamo alle persone quando le mettiamo a parte di un nostro vissuto mai svelato prima.

Il tema centrale diventa così l’opportunità o meno di dirsi tutto all’interno di contesti di coppia o familiari; non a caso i due protagonisti lavorano come interpreti, aiutano cioè a comunicare persone che altrimenti non potrebbero. Il dubbio persiste anche quando si è girata l’ultima pagina del libro che, va detto, riesce a mantenere il distacco morale dalle vicende rimanendo scevro da qualunque giudizio.

Un cuore può restare bianco, puro, secondo Marías e secondo Shakespeare che fa pronunciare a Lady Macbeth la frase che dà il titolo a quest’opera, anche a seguito di un terribile fatto criminale. O forse dirlo è solo il modo per alleggerire la coscienza da ciò che essa stessa non riuscirebbe a sopportare.

Non dire notte – Amos Oz

Un romanzo a due voci, quelle di Theo e Noa, una coppia non più giovane e con una discreta differenza di età, nel cui rapporto, in fase di stanca, si alternano insofferenza e dipendenza reciproca. Lui, alle soglie della pensione ha perso gli stimoli a fare cose nuove, lei al contrario è ansiosa di intraprendere nuove iniziative.

Un evento drammatico, la morte di un’allievo di Noa, rompe l’equilibro fra i due, che però si ritrovano presto in un sentimento reciproco che è ancora profondo. Ritrovano soprattutto il rispetto per le differenze che esistono fra di loro e di queste differenze si alimentano, mitigando i propri eccessi e rinnovando l’amore che li lega.

A fare da quinta alle vicende, una cittadina del Negev stretta fra un sofferto isolamento e il provincialismo tipico dei piccoli centri che mal vedono qualunque cambiamento o novità. Fra le pagine si respirano la polvere del deserto e la mentalità a volte gretta delle persone.

Forse non è il migliore dei libri di Oz ma contiene certamente tutti gli elementi dello stile del grandissimo scrittore israeliano, primo fra tutti la capacità di scavare con delicatezza e grande lucidità dentro le persone e i rapporti che le legano.

Gli invisibili – Pajtim Statovci

"Alcune persone sono così. Aspettano, si spostano da una stanza all'altra e aspettano, piangono e aspettano, stanno seduti in poltrona e aspettano, aspettano di sposarsi, aspettano di diventare genitori, aspettano che figli si laureino, aspettano che sia pronto da mangiare, che arrivi il weekend, che il salario aumenti.”

Uno dei libri più tristi e angoscianti che abbia mai letto. C’è tutto: la guerra, l’amore impossibile, la negazione del sé, la morte, l’infanzia infelice, l’ingiustizia, il tradimento, la pazzia, la depressione, la povertà, la miseria. E l’elenco potrebbe continuare.

Ciononostante, il libro avvince e si fa leggere. Non per la morbosa curiosità di sapere cos’altro di tragico possa capitare ai protagonisti, ma perché è scritto veramente bene, tanto da aver vinto un importante premio letterario in Finlandia, paese d’adozione dell’autore.

Un autore piuttosto giovane, per altro, che quindi, data l’età, dimostra una capacità fuori dal comune di scandagliare l’animo umano nei suoi dolori e nelle sue sofferenze.

Molti i riferimenti al clima sociale e bellico del Kosovo degli anni Novanta: un utile ripasso di ciò che l’odio etnico e religioso può produrre.
Da leggere, magari con l’animo predisposto.

Il libro del mare – Morten Strøksnes

I marinai a terra fanno pensare a ospiti irrequieti. Magari non si imbarcheranno mai più, ma continueranno comunque a parlare e a muoversi come se fossero lì soltanto in visita, e per breve tempo. Mai si libereranno della nostalgia del mare. E il mare che li chiama è costretto ad accontentarsi di risposte evasive.

Semplicemente fantastico, uno dei libri di mare più belli che abbia mai letto. Un trattato enciclopedico in forma di romanzo che abbraccia tutte le scienze legate agli oceani: dalla zoologia alla geologia, dalla climatologia alla storia.

La trama è semplice: due amici di vecchia data si sono messi in testa di pescare uno squalo della Groenlandia, uno degli essere viventi più grandi e più longevi del pianeta e che abita i mari attorno alla Norvegia, con un piccolo gommone. Non sono inesperti, ma l’impresa è tutt’altro che facile. Le vicende, però, sono solo un pretesto per l’autore per raccontare tutto quello che sa – tantissimo , del mare.

Scritto in modo chiarissimo e ricco di pagine pregevoli anche dal punto di vista letterario, Il libro del mare non potrebbe avere titolo più azzeccato. In alcuni passaggi ricorda Melville, sia per il rapporto fra uomo e preda-mostro, sia per le descrizioni accuratissime della vita e delle usanze dei pescatori, scandinavi in questo caso, balenieri inclusi.

Le Lofoten, isole norvegesi oltre il circolo polare artico, sono la splendida cornice del racconto. Descritte nelle atmosfere in modo così accurato da lasciar trasparire l’amore evidente che Strøksnes nutre per quei luoghi affascinanti e remoti.

La parola ebreo – Rosetta Loy

"Giorgio Levi è appena rientrato reggendo la bicicletta e aspetta l'ascensore. Lei gli urla che la bicicletta non può metterla nell'ascensore e che comunque sarebbe meglio che l'ascensore, lui, non lo prendesse per niente, perché non ne ha diritto. Senza parlare il ragazzo solleva la bicicletta e comincia faticosamente a salire le scale. Elsa lo segue con lo sguardo finché non scompare, solo allora, rassicurata, se ne torna giù nel buio antro della sua casa con le finestre a pelo del marciapiede. Anche se portiera, lei è ariana e quello un miserabile giudeo."

Rosetta Loy è scomparsa a novantuno anni pochi giorni fa e io ho voluto omaggiarla leggendo questo suo libro, trovato recentemente su un banchetto dell’usato.

Si tratta di una memoria autobiografica dell’infanzia dell’autrice e racconta gli effetti delle leggi razziali del 1938 sulla vita delle persone colpite dai provvedimenti discriminatori, mescolando il punto di vista della bambina che era allora con considerazioni storiche e politiche suffragate da documenti e testimonianze.

Con una prosa di incredibile chiarezza e lucidità la Loy ripercorre la propria infanzia a Roma, in seno a una famiglia borghese e cattolica, in quel tragico periodo in cui ha visto i suoi vicini di casa prima nascondersi, poi venire arrestati e infine deportati per essere uccisi nelle camere a gas: il compagno di giochi del fratello maggiore, la signora gentile dell’appartamento di fianco, il medico che la visitava abitualmente.

La narrazione non fa sconti a nessuno: né agli italiani che per complicità o vigliaccheria non hanno fatto nulla per opporsi a quell’infamia, né a coloro che hanno approfittato dell’estromissione degli ebrei da impieghi e incarichi statali o professionali per prenderne il posto, né a quelli che si sono semplicemente girati dall’altra parte quando, da dietro le loro porte, hanno sentito i soldati tedeschi trascinare via le persone.

Un grosso risalto viene dato al silenzio-assenso dei vertici della Chiesa, in primis Pio XII, le cui simpatie per il rigore germanico, visto in chiave antisovietica, l’hanno portato a tacere sulle azioni naziste malgrado già all’inizio della guerra gliene fosse nota l’efferatezza, anche a causa dell’uccisione di moltissimi preti cattolici in Europa (un nome su tutti: Kolbe). Un comportamento in aperto contrasto con le posizioni antinaziste del suo predecessore, Pio XI, morto improvvisamente nel febbraio del 1939, poco prima di pronunciarsi pubblicamente contro la piega antisemita presa dai due regimi dittatoriali, italiano e tedesco, anche sul solco antico dell’antigiudaismo cristiano.

Fa effetto leggere che molti dei firmatari del Manifesto della razza, quegli intellettuali e professori universitari che hanno dato il loro folle avallo scientifico alla discriminazione e quindi allo sterminio, siano rimasti al loro posto fino alla metà degli anni Sessanta. Impuniti, come se nulla fosse, come se non avessero alcuna responsabilità morale sull’accaduto.

Vengono anche raccontate le tante storie a lieto fine, quelle di quanti nascosero gli ebrei in casa o nei conventi e perfino nei bordelli, pur nella consapevolezza del terribile rischio che correvano. Se ancora possiamo ripeterci «italiani, brava gente» è grazie a chi non ha voltato la testa di fronte a tante disumane atrocità.

È di un paio di giorni fa il ritrovamento di uno scatolone pieno di denti d’oro forse strappati dai russi ai prigionieri ucraini; una pratica abituali dei nazisti nei confronti delle popolazioni da loro sottomesse. Non è certa l’origine di queste protesi ma quello che è sicuro è che di camere di tortura e fosse comuni negli ultimi mesi ne sono state scoperte molte in Ucraina, piene di cadaveri di civili e di bambini. Non giriamola neppure noi la testa: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Un concetto, purtroppo, più attuale che mai.

La storia del mondo in dodici mappe – Jerry Brotton

"Dai tempi di Tolomeo la geografia è sempre stata egocentrica. I suoi utenti partono cercando se stessi o la propria comunità su una mappa ma poi perdono gradualmente interesse per le cose distanti, ai suoi margini."

La Storia offre innumerevoli punti di osservazione: anni fa ho letto un libro che la raccontava dal punto di vista della pesca al merluzzo e delle guerre, diplomatiche e armate, combattute per lo sfruttamento delle zone di cattura. Un’interessante e inconsueta lettura, di quelle che offrono una visione diversa.

Il libro di Brotton, invece, traccia 2500 anni di vicende umane, politiche e sociali attraverso l’evoluzione della cartografia e dei metodi di tracciamento delle mappe. Dalle più antiche civiltà e ai primi metodi scientifici di misurazione della terra da parte di Greci, Arabi e Cinesi fino ai giorni nostri, quelli di Google Earth, passando per il medioevo e soprattutto per il Rinascimento, periodo di grandi esplorazioni che necessitavano di carte per orientarsi.

Disegnare una mappa si pensa debba attenersi al solo compito di essere il più fedele possibile alla realtà, non essendo possibile riprodurla in modo assolutamente conforme per un fatto fisico: non si può riprodurre una superficie sferica su una superficie piana senza ricorrere a qualche tipo di distorsione. Quello che emerge dalle pagine di questo libro è che i sistemi di proiezione (il più famoso, quello di Mercatore, del XVI secolo è quello maggiormente in uso ancora oggi) sono stati funzionali al potere politico e non solo alla scienza e alla sua evoluzione. Come la Storia, anche la geografia ha i suoi punti di vista, opportunistici a volte.

Dati gli elevati costi di produzione, soprattutto per via dei rilevamenti necessari, i committenti delle carte erano in passato i grandi sovrani e per questo i cartografi ne ponevano i regni al loro centro. Non tanto, o non solo, perché erano in quel periodo effettivamente centrali nella politica internazionale, ma perché ciascuno desiderava osservare il mondo partendo da sé. Una pratica ancora in uso se è vero, come dichiara Google stessa, che la maggior parte delle persone usa Earth per visualizzare la propria zona di residenza e non per esplorare parti di mondo che non conosce.

La lettura alterna pagine divulgative a passaggi più tecnici che a volte richiedono concentrazione per essere compresi ma nel suo insieme affascina e conquista perché mostra come il percorso della scienza sia inarrestabile, malgrado gli intralci della politica e persino, assurdamente, della religione: il mondo fisico che emergeva dagli studi dei cosmografi coincideva sempre meno con quello descritto dalle sacre scritture e per questo alcuni di loro sono stati perseguitati in quanto eretici. Oggi, per fortuna, i terrapiattisti sono relegati al folklore del complottismo più ridicolo.

Il vino della solitudine – Irène Némirovsky

"Nutriva nei confronti di sua madre un odio strano che sembrava crescere con lei; che, come l'amore, aveva mille ragioni e nessuna e, come l'amore, poteva dire: «Perché era lei, perché ero io»."

L’infanzia infelice dell’autrice raccontata in forma di romanzo attraverso le vicende di Helene, una ragazzina in eterno contrasto con la madre che quasi la ignora, preferendo affidarne l’educazione a una istitutrice di cui finirà per ingelosirsi.

Ben scritto, con un’attenzione molto spiccata per le descrizioni di ambienti e abiti che davvero calano il lettore nell’atmosfera dell’epoca (gli anni Dieci del Novecento) nei tre diversi paesi in cui è ambientata la storia: impero russo, Finlandia e Parigi, con frequenti sconfinamenti nelle vicende politiche del periodo.

La crescita di un sentimento di vendetta che monta inesorabilmente con l’avanzare dell’età della protagonista e che finirà per espletarsi in un modo che rivelerà tutto il disprezzo della ragazza per la madre. Una famiglia infelice a modo suo (per dirla alla Tolstoj) da cui affrancarsi per nascere o rinascere.

L’autobiografia di un periodo della vita che ha segnato profondamente l’esistenza dell’autrice, destinata a concludersi tragicamente ad Auschwitz poco dopo la scrittura di questo libro.

Ricostruzioni – Josephine Hart

"Ora so, naturalmente, che il tempo agisce di nascosto e a modo suo. Certe volte aspetta al varco gli incauti e gli tende un’imboscata. Altre volte, in anni di aride notti, disegna un arabesco di piccole rughe sul viso della celebre beltà. Come se un cartografo volesse darle delle indicazioni per il viaggio."

Della Hart avevo letto Il danno, da cui fu tratto un film per la regia di Louis Malle, apprezzandone la capacità di andare in profondità nei suoi personaggi e nelle situazioni in cui si trovano o ritrovano pur limitandosi, almeno apparentemente, ad esporre semplicemente i fatti.

Questo romanzo, scritto in una prosa elegante e raffinata, racconta la ricostruzione di un atroce trauma infantile quale percorso per liberarsene in modo completo in età adulta, cancellando definitivamente il tormento esistenziale che ha provocato.

Le vicende del passato si svelano lentamente, pagina dopo pagina, conquistando il lettore anche con un sapiente uso del pathos, senza che questo diventi morboso o si riveli uno stratagemma di bassa lega per spingere a proseguire nella lettura.

Eccellente anche l’introspezione psicologica dei protagonisti, uno dei quali è addirittura uno psichiatra, descritto durante alcune sedute con i suoi pazienti; cosa che denota una evidente conoscenza approfondita delle tecniche di psicoterapia da parte della Hart.

Un libro sulla mente umana, sui suoi contorti meccanismi, sulla sua solo apparente irrazionalità. Assolutamente fantastico, geniale, eppure evidentemente poco letto se non sono riuscito a trovare su Internet una foto decente della copertina. Nonostante anche di questo sia stata fatta un trasposizione cinematografica riadattata: Il viaggio segreto, di Salvo Andò.

Premio letterario Città di Castrovillari


L’Accademia delle arti, in occasione della decima edizione del Premio internazionale città di Castrovillari, ha scelto di premiare L’insostenibile leggerezza del covid nella sezione narrativa edita.

Sono felice di questo riconoscimento che mi onora e gratifica l’impegno e la fatica che ci sono voluti a scrivere questo libro.

Lo trovate qui: L’insostenibile leggerezza del covid

La nave faro – Mathijs Deen

Se si definisce marinaio colui che naviga, essere imbarcato su una nave che sta sempre ferma, ancorata nello stesso punto, può generare un senso di squalifica, di frustrazione, in chi si fa parte dell’equipaggio, soprattutto se ha vissuto o anche solo sognato grandi avventure per i sette mari.

Una nave-faro serve a posizionare una segnalazione luminosa in un punto dove non è possibile costruire un vero faro. O meglio, serviva, perché ormai le navi-faro sono state sostituite da boe automatiche. Questo romanzo racconta la vita a bordo di una di esse, centrandosi soprattutto sull’aspetto umano, sul profilo dei marinai che ne formano l’equipaggio, in un equilibrio che viene improvvisamente e curiosamente rotto dall’arrivo di un capretto vivo che, nelle intenzioni del cuoco, è destinato a diventare uno stufato.

I cambi di turno trasbordando su piccoli battelli raggiunti attraverso la biscaccina in un mare agitato, la nebbia che improvvisa cala e rende la nave ferma un invisibile bersaglio la cui unica difesa sono le segnalazioni sonore previste, i ricordi che si affollano alla mente dei marinai tracciandone la personalità e le cicatrici dell’anima.

Paradossalmente, come l’autore fa dire a un personaggio, chi è imbarcato su una nave-faro vive sul mare, gli altri si limitano ad attraversarlo da un porto all’altro, da terra a terra, avendo il mare come intervallo e non come destinazione. Il mare in questione, in questo libro, è il Mare del Nord di fronte all’Olanda.

Mi ha ricordato Marinai perduti di Jean-Claude Izzo, un bellissimo romanzo simile a questo non nelle vicende ma nella descrizione della vita di mare: non avventura ma routine, non gloria ma sopraffazione, non donne ma sudore e fatica. Da questo punto di vista il mare è un grande inganno per i sognatori. Il mare dà, il mare prende.