A oriente del giardino dell’Eden – Israel Joshua Singer

"A dispetto di tutte le umiliazioni che aveva patito, in lei c'era ancora posto per il senso della vergogna. Era una sconfinata capacità di sentirsi degradati, che nessuna ignominia riusciva a distruggere."

Ci sono romanzi che raccontano la Storia meglio di un saggio, perché della Storia mostrano gli effetti diretti sulla vita quotidiana dei protagonisti. Gioiamo o patiamo con loro, rallegrandoci o addolorandoci anche noi delle pieghe che, pagina per pagina, le vicende pubbliche prendono.

Questo splendido racconto di quasi cinquecento pagine, scritto nel 1939 da Israel Joshua Singer, fratello di Isaac Bashevis Singer (premio Nobel per la letteratura nel 1978), è quasi una saga familiare che inizia in un piccolo villaggio rurale della Polonia, passa per Varsavia e finisce nella Mosca staliniana.

Il protagonista principale, nato in una famiglia di ebrei poverissimi, cerca la strada del riscatto collettivo e diventa un attivista politico rivoluzionario. Perseguito e condannato, dopo anni di carcere durissimo scappa in Unione Sovietica dove, malgrado l’illusione di un mondo più equo e giusto, si ritrova in condizioni assai peggiori e nuovamente imprigionato con la falsa accusa di essere un cospiratore controrivoluzionario.

È un meraviglioso affresco della vita nell’Europa orientale nella prima metà del Novecento; anni durissimi, di fame, miseria e continui rovesciamenti politici. Imperi russi, tedeschi, polacchi, sovietici, si alternano in pochi anni negli stessi luoghi, apportando ciascuno il proprio carico di dolore alle popolazioni.

È la storia degli ultimi fra gli ultimi, dei capri espiatori, del potere arrogante e violento, dell’idealismo, della menzogna, del tradimento, dell’illusione, dell’oppressione religiosa e ideologica. Tutto raccontato con la meravigliosa capacità narrativa che caratterizza la produzione dei due incredibili fratelli Singer.

Anime baltiche – Jan Brokken

"Viaggiare, insieme a leggere e ascoltare, è la via più breve per arrivare a se stessi."

Un bel libro è quello che quando giri l’ultima pagina ti lascia due cose: la sensazione di aver imparato qualcosa che non sapevi e il desiderio di saperne ancora di più. Quest’opera di Jan Brokken centra pienamente entrambi gli obiettivi: insegna e stimola.

Una serie di capitoli monografici dedicati ciascuno a un uomo o una donna che in qualche modo hanno avuto una parte nella storia o nella cultura del proprio paese, legati dal filo comune di essere nati o vissuti nelle repubbliche baltiche, quei tre piccoli stati che abbiamo imparato a conoscere dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando si sono finalmente liberati dal giogo della dittatura comunista.

Personaggi di primo piano, da Sergej Ėjzenštejn a Hannah Arendt, o meno conosciuti, come Loreta Asanavičiūtė, la giovane schiacciata da un carro armato durante le prime manifestazioni per l’indipendenza della Lituania, passando per Mark Rothko e l’incredibile esistenza di Roman Gary, l’autore de La vita davanti a sé.

C’è la storia di un pezzo d’Europa, soprattutto degli ultimi due secoli, conteso fra imperi e dominazioni diverse che l’hanno colonizzato, cacciando o importando intere popolazioni come fossero mandrie al pascolo. Ci sono guerre e rivoluzioni, rivolte e repressioni sanguinose, pogrom e rinascite, come quella degli anni Novanta.

Un libro di storia scritto da un viaggiatore, fatto di storie minute, di vita quotidiana di chi la vita ha dovuto inventarsela giorno per giorno per sfuggire alle privazioni e alle persecuzioni dei prussiani, dei nazisti, dei sovietici. Un libro che fa venire la voglia di andare di persona a vedere.

La saggezza del mare – Björn Larsson

"Perché viaggiare non è percorrere la Toscana a suon di risate o imparare a fare il giocoliere con tre arance sotto il sole della Sicilia. Viaggiare vuol dire avanzare penosamente pollice per pollice sulla superficie della terra."

Pessimo il titolo italiano che sembra sottendere una stereotipata didattica dell’anima. In realtà il titolo originale è Da Capo del’Ira alla Fine del Mondo, che sembra metaforico ma che invece si rifà a due promontori realmente esistenti in quella zona di mare europeo dove si è svolta la navigazione raccontata in questo libro.

I primi viaggi per mare dell’autore, ivi compresa l’autobiografia interiore sulle motivazioni che l’hanno spinto a salpare e stare via per lunghi periodi; una vera e propria scelta di vita, dipanatasi fra la Scandinavia e la Scozia, con sconfinamenti in Bretagna e Galizia.

Panorami e modi di navigare sconosciuti a noi mediterranei, spesso preda di ancestrali timori di passare le Colonne d’Ercole, ma affascinanti e avvincenti oltre che, i secondi, decisamente più complessi che nel Mare Nostrum.

Interessante, scritto in modo chiaro, eppure, mentre scorrevo le pagine, avvertivo la mancanza di qualcosa. Quando l’ho chiuso ho capito cosa: il pathos. Le emozioni sono descritte senza la fasulla epicità di molti autori di mare ma anche senza apparente coinvolgimento emotivo dell’autore. Apparente, sia chiaro: non credo che Larsson non abbia messo il cuore in quelle navigazioni come pure nello scrivere questo libro. Solo che non traspare, non si percepisce se non razionalmente.

Da leggere se si ha in programma di fare rotta a nord e si vuole avere una prima infarinatura di quello che si troverà da quelle parti.
Sull’odioso formato di Iperborea è già stato detto tutto.

Vite che non sono la mia – Emmanuel Carrère

"Se sapessimo quello che rischiamo, non oseremmo mai essere felici."

Amo molto Carrère ma questa volta non mi ha convinto del tutto. Il tema del libro è la perdita dolorosa degli affetti più cari, in modo traumatico o per lunga malattia. Nella fattispecie, la morte di un figlio, di un genitore di bambini piccoli, di un grande amore, di un confidente carissimo.

Lo stile è quello consueto dell’autore: preciso, puntuale, lessicalmente ineccepibile senza per questo perdere di chiarezza espositiva. Ma anche profondo, analitico, riflessivo. Il punto è che, a differenza di altri suoi libri che ho letto, non avvince, non coinvolge se non nelle ultime pagine in cui viene magistralmente descritta l’agonia di una malata terminale e il travaglio delle persone che gli sono attorno.

La sensazione, duole dirlo, è Carrère fosse a corto di idee: il pretesto narrativo appare debole (una bambina morta a causa di una cataclisma naturale e una mamma consumata dal cancro) e non riesce ad assumere connotati di originalità malgrado l’ottima disamina che ne viene fatta.

Penso a Limonov, un uomo di cui non sapevo nulla e per il quale non ho mai nutrito il minimo interesse; eppure ne ho letto il racconto omonimo avvinto come se si trattasse di un personaggio fondamentale della Storia.
Di questo romanzo resta il piacere della lettura di una prosa davvero ottima e alcune pagine (forse più di alcune) che certamente meritano.

Il codice dell’anima – James Hillman

"Ci sono psicopatici che si accaparrano il favore delle folle e vincono le elezioni."

Una ghianda ha già inscritto nel DNA la sua missione esistenziale: diventare una quercia. La tesi sostenuta in questo libro è che anche per gli esseri umani funzioni così e che tutto sta nel trovare la ghianda dentro di sé, schivando i condizionamenti sociali, familiari, culturali o quant’altro; daimon, viene qui chiamata, con esplicito riferimento alla filosofia greca.

Se sostituiamo la parola ghianda con il termine vocazione, il concetto diventa ancora più chiaro: il senso della vita, secondo l’autore (ma è difficile non essere d’accordo), è trovare quella sorta di missione/vocazione che spesso ci ha chiamato fin da bambini e lasciargli spazio per vivere un’esistenza appagata. Qualcosa di simile al “Diventa ciò che sei” pronunciato da Nietzsche e prima ancora da Pindaro che però, stranamente, in questo saggio non vengono mai citati.

A lasciare perplessi è che Hillman, che è stato un famoso psicologo americano, rovescia completamente uno degli assunti fondamentali della psicanalisi, e cioè che ciò che ci accade durante la prima infanzia lascia in noi dei segni che condizioneranno la nostra vita futura, sostenendo invece che se ci sono successe determinate cose nei primi anni che siamo stati al mondo è proprio perché il daimon ci ha guidati in quella direzione.

La perplessità aumenta fino a diventare scetticismo man mano che avanzano i capitoli perché di prove concrete a supporto della teoria non ce ne sono molte e Hillman, in alcuni casi, sostiene che le cose stanno come dice lui perché il suo intuito gli suggerisce così. Vengono in compenso riportate decine e decine di storie personali di personaggi famosi che corrisponderebbero allo schema proposto ma, alla stessa maniera, si potrebbero raccontare vite che hanno avuto tutt’altro esito.

Si può ribattere che l’opera va letta in senso filosofico più che psicanalitico, ma anche in questo caso la logica di supporto ai ragionamenti appare in qualche caso fallace e le argomentazioni piuttosto deboli. Vero è che Hillman a un certo punto ha lasciato l’attività di terapeuta per dedicarsi alla produzione letteraria. A questo proposito, va detto che questo saggio ha scarsi connotati di universalità e appare invece scritto palesemente per il pubblico americano: nulla di male, ci mancherebbe, ma molti dei casi-studio citati sono per il lettore europeo perfetti sconosciuti.

In estrema sintesi, in qualche passaggio sembra uno di quei libri motivazionali che aiutano le persone sperdute a trovare se stesse; confesso che se non fosse edito da Adelphi forse non l’avrei comprato, malgrado l’autorevolezza dell’autore. Anche se il titolo, bisogna ammetterlo, è estremamente azzeccato.

Il selvaggio – Guillermo Arriaga

"Quanta patria può essere una donna per un uomo.”

Un libro che forse non avrei letto se non me l’avessero regalato ma che, una volta iniziato, mi ha subito catturato fin dalle primissime pagine. Avvincente, incalzante, ricchissimo di azione, illustra personaggi e situazioni attraverso il fitto racconto dei fatti che accadono.

Ambientato nel Messico degli ultimi anni Sessanta, offre un quadro interessante dell’epoca, fra i turbamenti dei giovani di allora, vissuti fra musica rock e droghe, e le tematiche endemiche del Sudamerica, principalmente la violenza criminale e l’estremismo religioso; e la loro terribile fusione.

Tre narrazioni parallele: il presente del protagonista principale, il suo passato traumatico, e una storia apparentemente a se stante che si svolge in un luogo distante e remoto e che solo nel finale chiude il cerchio con il resto delle vicende.

Una mole importante, settecentoquaranta pagine che per tre quarti non annoiano minimamente, anzi. Poi, praticamente un crollo: nelle ultime duecento si ha prima la percezione di una forzata esagerazione della quantità di cose che succedono, poi della fretta di concludere che si concretizza in un cambio di ritmo che ha il sapore della superficialità.

Comunque davvero ben scritto e, al netto di alcune scivolate retoriche, certamente da leggere.

Legami d’amore – Angelo Alessi

"La relazione affettiva e l'intesa con l'altro dipendono proprio da una adeguata coscienza di se stessi, che consente il diritto-bisogno di svelarsi con sicurezza"

Parte un po’ male, con un primo capitolo introduttivo che appare semplicistico anche per un libro divulgativo, cui seguono due capitoli autobiografici in cui si narrano, portandoli a esempio universale, frammenti dell’infanzia dell’autore senza però spiegazioni convincenti circa la loro universalità.

Poi il saggio decolla e lo fa in modo davvero interessante, avvincendo il lettore con l’illustrazione puntuale delle dinamiche relazionali dei rapporti affettivi, siano essi di coppia o familiari, spiegando per filo e per segno tutti gli errori, consapevoli o meno, che abbiamo fatto tutti da innamorati, da genitori o da figli.

Utile per capire, per non cadere nuovamente in vecchie trappole, per recuperare rapporti importanti persi per incomprensione o per costruirne di nuovi nella chiarezza, con se stessi e con gli altri. Ma anche per lasciarsi senza traumi irrisolti o per elaborare il distacco, sia esso una scelta o una costrizione, dovuta magari a un tragico lutto.

Davvero da leggere, per capire, per capirsi, per migliorare se stessi e i rapporti fondamentali della nostra vita, quelli che alla nostra vita danno il senso fondamentale: amare ed essere amati, ma anche amare se stessi, presupposto fondamentale per un’esistenza serena.

Premio letterario Mesagne 2022

Ricevere un premio letterario importante è una soddisfazione grandissima, un’emozione enorme e dirompente. È il riconoscimento di un lavoro lungo e faticoso fatto di meticolosa ricerca, di affinamento continuo e soprattutto di introspezione.

Scrivere è prima di tutto cercare qualcosa dentro di sé; un premio letterario ci dice che quel qualcosa si specchia nell’intimo di altre persone e, nel suo piccolo, ha assunto un carattere di universalità perché evidentemente siamo riusciti a descriverlo bene.

L’insostenibile leggerezza del covid, primo classificato nella sezione narrativa edita.

Il video della premiazione.

Il posto – Annie Ernaux

"Sono scivolata in quella metà di mondo per la quale l’altra metà è soltanto un arredo."

Quello che immediatamente colpisce di questo breve romanzo è la delicatezza della prosa con cui è scritto: semplice (nella migliore accezione del termine) ma diretta, efficace, limpidissima. Con poche pennellate che mai paiono di maniera, l’autrice dipinge il quadro della storia di due persone, padre e figlia, senza che il lettore abbia mai men che chiaro l’andamento delle cose.

Narrato in prima persona dalla figlia, racconta l’evoluzione sociale ed economica del padre, da contadino povero di un paesino della Normandia a gestore di un piccolo negozio di alimentari, che prima acquisisce un modesto benessere e poi si ritrova stritolato dalla grande distribuzione. Di pari passo, l’emancipazione della figlia che dal provincialismo della famiglia di origine, con graduale distacco e senza mai rinnegare il proprio vissuto, effettua quel salto culturale mai riuscito ai suoi genitori e diventa una scrittrice.

Il rapporto padre-figlia, che pure vive momenti di tensione, resta comunque sempre imperniato sul reciproco rispetto, forse maggiormente che sull’affetto, vittima quest’ultimo di tempi in cui sicuramente c’era maggiore difficoltà a esprimerlo apertamente rispetto a oggi.

Chiaramente autobiografico, altrettanto chiaramente diviene paradigmatico della storia europea dall’ultimo dopoguerra in poi; di quella francese, certamente, ma decisamente anche di quella del nostro paese in quel periodo, gli anni Cinquanta e Sessanta, segnati dal boom economico. E a leggerlo, si capisce come quelli che oggi, con una punta di disprezzo, vengono definiti boomer per stigmatizzarne alcuni privilegi sociali o economici abbiano vissuto la prima parte della propria esistenza in condizioni decisamente non facili.

Non avevo letto nulla di Annie Ernaux e sono stato ovviamente incuriosito dal Nobel che le hanno assegnato quest’anno; di sicuro non mi fermerò a questo bel libro!