La conquista dell’infelicità – Raffaele Alberto Ventura

"In una società in cui tutto è permesso ma nulla è possibile, ognuno deve imparare a convivere con la consapevolezza che probabilmente non diventerà mai se stesso."

Decisamente uno dei saggi più interessanti che ho letto negli ultimi tempi, una via di mezzo fra l’analisi sociologica e il trattato filosofico, con sconfinamenti in molte altre branche del sapere umano, dall’economia, alla storia, alla psicologia.

Parte dal presupposto che il paradigma su cui si è fondata la società occidentale dell’ultimo secolo, quello del benessere basato sulla crescita, è ormai insostenibile e che lo stesso sia alla base dell’insoddisfazione generalizzata della classe media, le cui aspettative di crescita personale sono nella maggior parte dei casi irraggiungibili, malgrado percorsi formativi interminabili. Non è certo un inedito scoop ma l’originalità dell’autore, antropologo e ricercatore a Parigi, sta nell’illustrarlo attraverso diversi personaggi letterari e cinematografici in modo acuto spaziando da Amleto a Fantozzi, ma anche Ibsen, Spinoza, Kant, Freud e tantissimi altri grandi protagonisti della cultura degli ultimi secoli.

La dicotomia fra avere ed essere, stigmatizzata nel celebre libro di Fromm, ci spiega Ventura, è ormai superata perché l’uomo di questa epoca per adempiere al comandamento morale di diventare ciò che è, di realizzarsi cioè come individuo, ha bisogno di avere, e avere è diventato sempre più difficile a causa della scarsità delle risorse o dell’insostenibilità del loro consumo. Un esempio banale? Io sono un velista ma lo sono in virtù del fatto che posso permettermi di pagare di tasca mia il fatto di esserlo. Se dovessi farmi pagare da altri, un sponsor ad esempio, mi scontrerei con la tragica realtà che gli aspiranti sponsorizzati sono in numero infinitamente superiore ai potenziali sponsor.

La salvezza, se di salvezza si può parlare, risiede non tanto nella capacità di ridurre i propri bisogni (un concetto tutt’altro che recente anche se ultimamente lo si chiama downshifting) ma nell’accettare l’infelicità e la malinconia per ciò che sono, ovvero normali stati d’animo e non patologie da curare con terapie farmacologie o psichiche. E sì, perché la ricerca del sé sembra essersi trasformata da opportunità in condanna. Questo ha trasformato la borghesia da classe privilegiata in classe disagiata che da anni si batte più per conservare ciò che ha che per accrescerlo; e perdere cento euro fa incazzare molto di più di quanto faccia gioire vincere la stessa cifra al superenalotto.

Mala tempora currunt… ce lo dice la cronaca, le guerre in corso, le trasformazioni climatiche o geopolitiche. Ventura ce lo sbatte in faccia, forse con un pizzico eccessivo di pessimismo, a volte in salsa marxiana, ma certo che tutti i torti non li ha.

Sui social manca il grigio – Massimiliano Zulli

"Quando ogni discussione diventa una battaglia per la supremazia morale o intellettuale, le opinioni non sono più semplici posizioni da difendere o da rivedere alla luce dei fatti. Diventano bandiere identitarie, simboli di appartenenza a una fazione. E in un contesto del genere, cambiare idea equivale a cambiare bandiera."

Analisi seria, approfondita ed esaustiva delle tante dinamiche psicologiche e relazionali che soggiacciono a ogni discussione on line e che, chi più chi meno, inconsapevolmente agiamo tutti. Al tempo stesso una disamina accurata dei social e della loro influenza sulla società, sul pensiero umano nel senso ampio del termine, sulla politica e su un infinito numero di aspetti quotidiani del nostro vivere.

La spiegazione chiara del perché qualunque discussione virtuale finisca, immediatamente e inevitabilmente in rissa; perché invece di un confronto di idee e opinioni ci sia sempre uno scontro identitario, anche su tematiche leggere; perché l’impulso di rispondere prevalga spesso quello di capire.

E si potrebbe andare avanti per molto, perché questo libro non omette nessuna delle situazioni in cui almeno una volta ci siamo trovati tutti, soprattutto quelli che ritengono di essere obiettivi e super partes. E sì, perché in queste pagine ce n’è anche per loro, quelli convinti che rifiutare un’idea soltanto perché sposata dalla maggioranza equivalga a essere liberi, mentre invece sono prigionieri del ruolo che hanno scelto e che gli impedisce, anche di fronte all’evidenza, di uniformarsi alla ragione.

Un’opera che nasce e si sviluppa a partire da una pagina Facebook molto interessante e che seguo da anni, uomoMordeCane, tenuta dall’autore, esperto di comunicazione e formatore aziendale. Un invito a riflettere, perché, ci piaccia o meno, questo libro parla anche di noi; tutti, almeno una volta, abbiamo agito così.

Storia naturale della distruzione – Winfried Georg Sebald

"Il bisogno di dissolvere la propria individualità all'interno di una corporazione che si legittimi richiamandosi a una legge superiore fu molto sentito [...] negli anni Venti e Trenta."

La Storia, come è noto, la scrivono i vincitori. Questo libro non tenta di riscriverla ma si propone di raccontarla dal punto di vista degli sconfitti, con lo scopo dichiarato di colmare una lacuna che, come spiega l’autore, quasi nessun intellettuale tedesco per decenni si è preoccupato di colmare, per ragioni che vanno dal comprensibile desiderio di andare oltre e ricominciare a vivere, al timore di venire accusati di tardive simpatie naziste.

Nel libro si raccontano gli effetti terribili e devastanti dei bombardamenti a tappeto sulle citta della Germania, durante la seconda guerra mondiale, da parte delle forze alleate. Sebald indugia a volte in descrizioni e particolari raccapriccianti sul modo atroce in cui circa seicentomila persone hanno perso la vita: arse vive dalle bombe incendiarie, soffocate dai fumi o imprigionate dentro i rifugi da cumuli di macerie.

Nel raccontarlo, si adombra l’ipotesi che non tutte quelle bombe fossero necessarie, che non servisse radere al suolo così tanti centri abitati, anche di secondaria grandezza. Ma se molti storici concordano sul fatto che l’atomica su Hiroshima sia stata semplicemente una sorta di vendetta americana per lo smacco di Pearl Harbour, senza alcuna utilità strategica, siamo sicuri che si possa dire lo stesso dei bombardamenti alleati? Siamo sicuri che ci fossero modi più indolore di fermare la terribile macchina di morte nazista che inizialmente sembrava militarmente invincibile?

Seicentomila civili morti è un numero certamente enorme, che però andrebbe rapportato ai numeri generali di quella che è la più terribile guerra mai combattuta sulla terra: sessanta milioni di morti, dieci milioni solo nei campi di concentramento, di cui sei milioni di ebrei, uccisi cioè senza alcuno scopo bellico. Non dimentichiamo inoltre che nel periodo 1942-1945, quello di cui si parla, la Germania bombardava Londra, faceva andare a pieno regime i campi di sterminio e scatenava battaglie terribili che provocarono milioni di morti (due solo a Stalingrado).

Forse la risposta sta proprio nei numeri. In un epoca, la nostra, in cui fortunatamente alla vita umana viene dato il valore che merita, certe cifre fanno impallidire, ma basti pensare che solo nei mesi successivi allo sbarco in Normandia le forze alleate hanno perso circa centocinquantamila soldati: civili, per lo più, che avevano forzatamente indossato una divisa per combattere una guerra scatenata non da loro.

Europa 33 – Georges Simenon

"Dopo tutte le guerre e le spartizioni territoriali, come si può pretendere di determinare la nazionalità di qualcuno?"

Un genere che adoro: il reportage di viaggio con analisi storiche e sociologiche. Se poi è per mano di quella formidabile penna che è stata Georges Simenon, il piacere della lettura è garantito. Si tratta, in questo caso, di un fantastico affresco sull’Europa della metà degli anni Trenta del Novecento, stretta tra povertà diffusa e nazionalismi; un mix che porterà, di lì a breve, al tragico epilogo di una nuova guerra mondiale.

Europa 33 è una raccolta di scritti pubblicati dall’autore su diversi numeri della rivista settimanale francese Voilà, e che Adelphi ha da poco ripubblicato dopo l’interessante Il Mediterraneo in barca, narrazione di un viaggio affrontato da Simenon con la moglie a bordo di una goletta.

In entrambe le pubblicazioni, l’occhio attento del reporter va oltre la patina delle apparenze, sia essa dovuta al pudore delle persone di nascondere la propria miseria o alla mistificazione delle autorità locali, come nel caso della visita a Odessa, in piena epoca staliniana, che cercavano di spacciare la fame e il terrore per prosperità diffusa.

Da Bruxelles a Vilnius, passando per Vienna e Istanbul, fino a Varsavia e Batumi, con una deviazione sull’isola dei Principi, nel Mar di Marmara, per intervistare nientemeno che Trockij.
Molto interessanti anche le tante foto a corredo del testo, scattate dall’autore durante il viaggio e che costituiscono un’ulteriore preziosa testimonianza di un periodo storico che ha segnato pesantemente il nostro continente.


Il codice dell’anima – James Hillman

"Ci sono psicopatici che si accaparrano il favore delle folle e vincono le elezioni."

Una ghianda ha già inscritto nel DNA la sua missione esistenziale: diventare una quercia. La tesi sostenuta in questo libro è che anche per gli esseri umani funzioni così e che tutto sta nel trovare la ghianda dentro di sé, schivando i condizionamenti sociali, familiari, culturali o quant’altro; daimon, viene qui chiamata, con esplicito riferimento alla filosofia greca.

Se sostituiamo la parola ghianda con il termine vocazione, il concetto diventa ancora più chiaro: il senso della vita, secondo l’autore (ma è difficile non essere d’accordo), è trovare quella sorta di missione/vocazione che spesso ci ha chiamato fin da bambini e lasciargli spazio per vivere un’esistenza appagata. Qualcosa di simile al “Diventa ciò che sei” pronunciato da Nietzsche e prima ancora da Pindaro che però, stranamente, in questo saggio non vengono mai citati.

A lasciare perplessi è che Hillman, che è stato un famoso psicologo americano, rovescia completamente uno degli assunti fondamentali della psicanalisi, e cioè che ciò che ci accade durante la prima infanzia lascia in noi dei segni che condizioneranno la nostra vita futura, sostenendo invece che se ci sono successe determinate cose nei primi anni che siamo stati al mondo è proprio perché il daimon ci ha guidati in quella direzione.

La perplessità aumenta fino a diventare scetticismo man mano che avanzano i capitoli perché di prove concrete a supporto della teoria non ce ne sono molte e Hillman, in alcuni casi, sostiene che le cose stanno come dice lui perché il suo intuito gli suggerisce così. Vengono in compenso riportate decine e decine di storie personali di personaggi famosi che corrisponderebbero allo schema proposto ma, alla stessa maniera, si potrebbero raccontare vite che hanno avuto tutt’altro esito.

Si può ribattere che l’opera va letta in senso filosofico più che psicanalitico, ma anche in questo caso la logica di supporto ai ragionamenti appare in qualche caso fallace e le argomentazioni piuttosto deboli. Vero è che Hillman a un certo punto ha lasciato l’attività di terapeuta per dedicarsi alla produzione letteraria. A questo proposito, va detto che questo saggio ha scarsi connotati di universalità e appare invece scritto palesemente per il pubblico americano: nulla di male, ci mancherebbe, ma molti dei casi-studio citati sono per il lettore europeo perfetti sconosciuti.

In estrema sintesi, in qualche passaggio sembra uno di quei libri motivazionali che aiutano le persone sperdute a trovare se stesse; confesso che se non fosse edito da Adelphi forse non l’avrei comprato, malgrado l’autorevolezza dell’autore. Anche se il titolo, bisogna ammetterlo, è estremamente azzeccato.

Legami d’amore – Angelo Alessi

"La relazione affettiva e l'intesa con l'altro dipendono proprio da una adeguata coscienza di se stessi, che consente il diritto-bisogno di svelarsi con sicurezza"

Parte un po’ male, con un primo capitolo introduttivo che appare semplicistico anche per un libro divulgativo, cui seguono due capitoli autobiografici in cui si narrano, portandoli a esempio universale, frammenti dell’infanzia dell’autore senza però spiegazioni convincenti circa la loro universalità.

Poi il saggio decolla e lo fa in modo davvero interessante, avvincendo il lettore con l’illustrazione puntuale delle dinamiche relazionali dei rapporti affettivi, siano essi di coppia o familiari, spiegando per filo e per segno tutti gli errori, consapevoli o meno, che abbiamo fatto tutti da innamorati, da genitori o da figli.

Utile per capire, per non cadere nuovamente in vecchie trappole, per recuperare rapporti importanti persi per incomprensione o per costruirne di nuovi nella chiarezza, con se stessi e con gli altri. Ma anche per lasciarsi senza traumi irrisolti o per elaborare il distacco, sia esso una scelta o una costrizione, dovuta magari a un tragico lutto.

Davvero da leggere, per capire, per capirsi, per migliorare se stessi e i rapporti fondamentali della nostra vita, quelli che alla nostra vita danno il senso fondamentale: amare ed essere amati, ma anche amare se stessi, presupposto fondamentale per un’esistenza serena.

Il lungo inverno – Federico Rampini

"Nessuno degli antioccidentali che pullulano in Europa o in America ha mai pensato per un solo istante di emigrare a Mosca, a Pechino, o a Teheran. […] Pur con i loro difetti enormi, le liberaldemocrazie e il capitalismo di mercato sono il modello più avanzato."

Interessante analisi delle questioni più attuali e importanti che riguardano il nostro pianeta: dalla crisi climatica all’economia, dalla guerra in Ucraina ai problemi energetici, dall’esplosione demografica agli equilibri geopolitici.

Ma soprattutto, al centro di tutto, la globalizzazione, quel fenomeno esploso una trentina di anni fa e che sta evolvendo in modo diverso da come era stato immaginato allora, quando la fine del comunismo sovietico fece crollare molte delle barriere che spaccavano, non solo ideologicamente, il mondo.

Grande, come sempre, Rampini, che affronta tutti questi temi con lucidità e con un distacco che generalmente si riesce ad avere solo dopo alcuni anni dalle vicende, fornendo moltissimi dati a supporto ed esponendo tutto con estrema chiarezza. E sollevando l’Occidente da responsabilità non sue che spesso gli vengono addossate da un ricorrente senso di colpa.

La tesi del libro è che la quasi totalità delle previsioni catastrofistiche dei decenni passati, dalla penuria energetica a quella alimentare, non si sono avverate, adducendone fra le ragioni un atavico pessimismo italiano: speriamo che sia così anche questa volta.

La storia del mondo in dodici mappe – Jerry Brotton

"Dai tempi di Tolomeo la geografia è sempre stata egocentrica. I suoi utenti partono cercando se stessi o la propria comunità su una mappa ma poi perdono gradualmente interesse per le cose distanti, ai suoi margini."

La Storia offre innumerevoli punti di osservazione: anni fa ho letto un libro che la raccontava dal punto di vista della pesca al merluzzo e delle guerre, diplomatiche e armate, combattute per lo sfruttamento delle zone di cattura. Un’interessante e inconsueta lettura, di quelle che offrono una visione diversa.

Il libro di Brotton, invece, traccia 2500 anni di vicende umane, politiche e sociali attraverso l’evoluzione della cartografia e dei metodi di tracciamento delle mappe. Dalle più antiche civiltà e ai primi metodi scientifici di misurazione della terra da parte di Greci, Arabi e Cinesi fino ai giorni nostri, quelli di Google Earth, passando per il medioevo e soprattutto per il Rinascimento, periodo di grandi esplorazioni che necessitavano di carte per orientarsi.

Disegnare una mappa si pensa debba attenersi al solo compito di essere il più fedele possibile alla realtà, non essendo possibile riprodurla in modo assolutamente conforme per un fatto fisico: non si può riprodurre una superficie sferica su una superficie piana senza ricorrere a qualche tipo di distorsione. Quello che emerge dalle pagine di questo libro è che i sistemi di proiezione (il più famoso, quello di Mercatore, del XVI secolo è quello maggiormente in uso ancora oggi) sono stati funzionali al potere politico e non solo alla scienza e alla sua evoluzione. Come la Storia, anche la geografia ha i suoi punti di vista, opportunistici a volte.

Dati gli elevati costi di produzione, soprattutto per via dei rilevamenti necessari, i committenti delle carte erano in passato i grandi sovrani e per questo i cartografi ne ponevano i regni al loro centro. Non tanto, o non solo, perché erano in quel periodo effettivamente centrali nella politica internazionale, ma perché ciascuno desiderava osservare il mondo partendo da sé. Una pratica ancora in uso se è vero, come dichiara Google stessa, che la maggior parte delle persone usa Earth per visualizzare la propria zona di residenza e non per esplorare parti di mondo che non conosce.

La lettura alterna pagine divulgative a passaggi più tecnici che a volte richiedono concentrazione per essere compresi ma nel suo insieme affascina e conquista perché mostra come il percorso della scienza sia inarrestabile, malgrado gli intralci della politica e persino, assurdamente, della religione: il mondo fisico che emergeva dagli studi dei cosmografi coincideva sempre meno con quello descritto dalle sacre scritture e per questo alcuni di loro sono stati perseguitati in quanto eretici. Oggi, per fortuna, i terrapiattisti sono relegati al folklore del complottismo più ridicolo.

Armi, acciaio e malattie – Jared Diamond

Un interessante saggio divulgativo che tenta di spiegare perché alcune civiltà si sono affermate prima, meglio, e a discapito di altre. Come recita il sottotitolo, la storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, letta in chiave socio-antropologica.

Liquidata come sciocca qualsiasi motivazione di carattere razziale basata sulla superiorità genetica di alcune popolazioni, l’autore, un biologo e antropologo americano, espone in modo chiaro e documentato le ragioni che hanno permesso all’uomo di evolversi, passando dalla condizione nomade di cacciatore-raccoglitore a quella stanziale di agricoltore-allevatore e poi successivamente di sviluppare conoscenze in campo metallurgico, scientifico, militare e culturale.

Ma soprattutto, perché in alcune aree del pianeta questo è avvenuto migliaia di anni fa mentre in altre solo da pochi decenni fa e unicamente in seguito al contatto con gli europei. In estrema sintesi, viene fatto risalire tutto alle condizioni geofisiche dei luoghi, alla disponibilità di risorse, la cui mancanza ha spesso stimolato gli individui, e soprattutto alla possibilità di interscambio con i vicini, cosa preclusa a molti popoli per questioni fisiche (orografiche o marine).

Quello che è certo, è che noi abitanti della terra siamo tutti mescolati fra noi, fin dalla preistoria, molto più di quanto certe teorie razziste sulla purezza del sangue vorrebbero far credere.
Forse eccessivamente lungo per un testo divulgativo, ma decisamente da leggere.