Retrotopia – Zygmunt Bauman

Geniale il neologismo che dà il titolo all’opera, ovvero un passato ideale che spesso non è mai esistito.
Nei periodi di crisi economica o sociale, quando il futuro da opportunità di migliorarsi si trasforma in timore di peggiorare la propria condizione, si tende a idealizzare i tempi andati e proporli come ricetta per risolvere il presente. Ovviamente dimenticando (o, in qualche caso, fingendo di non sapere) tutto il brutto che con il passato ci siamo lasciati alle spalle.
È il meccanismo alla base del sovranismo di questi anni, che porta ad esempio a rivalutare il fascismo, minimizzandone le tragiche conseguenze e attribuendogli riforme o iniziative che non ha mai realizzato.
Come nota Baumann stesso in questo saggio, il Novecento è iniziato guardando avanti – si pensi al Futurismo – e si è chiuso guardando indietro. Se ciò sia un bene, è una domanda che fa quasi sorridere.

Non c’è fede che tenga – Cinzia Sciuto

Poche volte in vita mia ho rilevato un’adesione tanto profonda tra il mio pensiero e quello espresso in un libro.

Il laicismo quale unica via per il rispetto completo e reale dell’individuo, ma soprattutto il diritto dei singoli al di sopra delle regole dei gruppi e delle comunità di appartenenza di ciascuno. In altri termini, il patto politico-legislativo, base degli Stati sovrani, applicato realmente e senza eccezioni, soprattutto nei confronti delle associazioni religiose, la cui etica viene altrimenti posta al di sopra dei valori universali.

L’identità collettiva mostrata per quello che quasi sempre è: una patacca la cui definizione si fonda spesso sull’esaltazione di un passato mai esistito. Il multiculturalismo visto come una sorta di segregazionismo o autosegregazionismo perché imprigiona le persone all’interno dei gruppi di nascita.

L’uomo al centro di tutto. Fallace, certo, ma almeno libero di evolversi e non condannato a restare per sempre ciò che non è.

Oriente e Occidente, massa e individuo – Federico Rampini

Mi piace molto Rampini, forse per questo avevo aspettative un po’ alte su questo libro. Interessantissimo il tema, il confronto millenario fra Oriente e Occidente, dal punto di vista culturale, sociale e politico. Aspettative in parte deluse: se da un lato ci sono alcuni capitoli molto acuti per l’analisi e la visione generale della questione, dall’altra molte pagine sembrano scritte un po’ frettolosamente e offrono una panoramica tanto veloce e generale di alcuni argomenti da risultare superficiali.
Vero è pure che per approfondirli tutti ci sarebbe voluta un’enciclopedia.
Quello che emerge chiaro da questo libro è che la schiacciante superiorità economica e militare dell’Occidente è relativamente recente (alcuni secoli, e per grossa parte dovuta al saccheggio delle colonie dalla fine del Medioevo in poi) e che probabilmente siamo davvero prossimi a un riequilibrio, cui la pandemia sta forse dando un’accelerazione.

Helgoland – Carlo Rovelli

Partendo da una remota isola del Mare del Nord, l’autore racconta la storia della genesi e dell’evoluzione della teoria dei quanti in modo abbastanza semplice, almeno nei limiti concessi della enorme complessità della teoria stessa.
L’ho preso perché di meccanica quantistica ho sempre saputo meno di zero e ora, grazie a questo libro, qualcosa l’ho compresa, almeno di cosa si tratta per sommi capi (visto il mio personale punto di partenza mi ritengo soddisfatto).
Il libro è davvero ben scritto – Rovelli maneggia la lingua italiana in modo eccellente – e non è assolutamente un manuale di fisica. Piuttosto un trattato divulgativo di filosofia, a riprova di quanto le scienze umanistiche siano strettamente connesse con la fisica.
Comunque, Schrödinger il gatto nella stanza non ce l’ha mai messo veramente!

La società signorile di massa – Luca Ricolfi

Nell’accezione storica una società signorile è quella impostata su una grande maggioranza di individui che lavora con paghe basse o da fame per permettere a una piccola e facoltosa minoranza di concedersi agi e lussi, o semplicemente i consumi, senza guadagnarseli con il proprio lavoro diretto.

La tesi di questo libro è che in Italia il sistema signorile si è esteso alla maggioranza degli individui. L’idea sembra riprendere il concetto sviluppato anni fa dalla sociologia americana del terzo/due terzi (due terzi di società ricca, un terzo di società povera); che però, lavoravano entrambi.

La novità, secondo l’autore, sta nel fatto che nel nostro paese, unico tra tutte le nazioni, le posizioni di privilegio si basano sulla rendita e non sul lavoro. Un dato significativo: il numero occupati è intorno al 45% della forza lavoro, la maggior parte degli italiani, quindi, vive senza lavorare. E non in miseria, dato che sotto l’indice di povertà ci sta solo il 5%, immigrati inclusi (che costituiscono ovviamente la maggioranza di quest’ultimo gruppo).

Il libro spiega dettagliatamente la teoria, e lo fa in modo assolutamente documentato e convincente. Impossibile riassumerla in poche righe e comunque non avrebbe senso farlo qui. Fornisce inoltre un’analisi impietosa della situazione dei giovani e delle prospettive loro e dell’Italia tutta.

Dice anche tantissime altre cose molto interessanti, con l’imparzialità dello studioso. Dovrebbero leggerlo i nostri politici per capire che continuare a parlare di Nutella e rosari ci porterà, neanche troppo tardi, alla rovina. Ma possiamo scommettere che non lo faranno.

Possiamo però leggerlo noi, per capire, per non abboccare. E per tornare a parlare di politica con serietà e cognizione e non con l’enfasi cieca dei tifosi da stadio.

Chi volesse farsi un’idea, qui trova una bella intervista all’autore: https://luz.it/spns_article/intervista-luca-ricolfi-societa-signorile-massa/

La teoria dei paesi vuoti – Mauro Daltin


Sono tanti i motivi per cui un paese o una cittadina vengono abbandonati da chi li abita: terremoti, alluvioni, progetti urbanistici strampalati, attività estrattiva che si esaurisce. Questo libro li elenca tutti spiegandoli bene, e lo fa con uno stile letterario di gran classe.

Posti un tempo ricchi di vita, di attività economiche, di fermento, divenuti, all’improvviso o lentamente, vuoti contenitori che le intemperie e la natura consumano giorno per giorno fino a distruggerli.

Non un saggio ma un piacevole racconto di viaggio: nello spazio, nel tempo, nella storia; ma anche dentro di sé.
La fine di un luogo come metafora dell’esistenza umana. L’oblio come destino ineluttabile.

Domani nella battaglia pensa a me – Javier Marías

Difficile esprimere un giudizio netto su questo libro. È un genere di romanzo che amo molto, quello in cui la trama fa quasi da sfondo a digressioni e riflessioni dell’autore che descrive così, con minuzia, quello che i suoi occhi e la sua mente percepiscono di una scena, di una persona, di un contesto. A patto, ovviamente, che si tratti di digressioni e riflessioni funzionali alla narrazione ma soprattutto interessanti.

Le prime e le ultime cinquanta pagine del libro sono davvero eccellenti: le prime catturano immediatamente, soprattutto cattura la mente fervida di chi le ha concepite; le ultime tengono appeso il lettore con una buona dose di suspense e alcuni colpi di scena che cambiano la prospettiva generale dei fatti e dei personaggi.

In mezzo, tante pagine davvero poco avvincenti, che si reggono grazie alla poderosa scrittura dell’autore ma che non coinvolgono, e a tratti sembrano quasi un esercizio di stile fine a se stesso.
Vince ma non convince, per usare una metafora sportiva.

Lo straniero

Sono ormeggiato lungo una banchina mattonata cinta di pietra, qualcosa che somiglia molto a un marciapiedi. Non è un marina privato ma un porto pubblico: non ho servizi e non ho luce o acqua, se non le mie scorte. Le mie finestre, gli oblò, si aprono poco sopra il livello stradale, come quelle di un basso, di un seminterrato. E come in un seminterrato, raccolgono polvere.

Le persone passeggiano a un metro da me, gettano uno sguardo curioso e scrutano oltre il tambuccio, violando in un certo senso la mia intimità domestica. I bambini giocano a palla, urlando come fanno i bambini e rincorrendosi fino allo stremo. Proprio di fronte c’è una panchina dove la sera le coppie si siedono a scambiarsi un bacio o a chiacchierare e io, mio malgrado, ne colgo a volte i discorsi, le promesse e le parole d’amore.

Quando cucino, i miei odori si spandono fino alla piazza: il profumo di frittata o cipolla soffritta si mescola per un po’ ai gas di scarico delle auto in circolazione (poche, per fortuna). Se fa caldo, mangio in pozzetto, offrendomi alla vista di chiunque voglia informarsi sui miei pasti.
Faccio la doccia all’aperto, sulla spiaggetta di poppa, strofinando il mio corpo insaponato davanti agli occhi tutti. Cerco di farlo rapidamente, con discrezione, in momenti in cui non c’è molta gente. Sia perché penso che qualcuno potrebbe non gradire lo spettacolo, sia perché anche questo, in fondo, è un momento di intimità violata.

Una sottile strato di vetroresina è la mia sola protezione dalle intemperie, il mio unico riparo dal sole o dalla pioggia. Per difendermi da entrambi posso solo rintanarmi sottocoperta. Se c’è il temporale sono costretto a chiudere tutto e restare tappato dentro fino a quando smette; un po’ come gli zingari nelle loro roulotte.
Vivo in piazza, come un nomade, e sono arrivato dal mare. Non per restare, se non per un breve periodo fatto di interazioni fugaci con chi abita stabilmente questo posto. Spesso trovo cortesia, a volte noncuranza, raramente ostilità, perché i luoghi che affacciano sul mare sono abitati da genti abituate allo straniero.

Quando dopo giorni di navigazione si entra in un porto, si ha voglia principalmente di protezione e accoglienza. Si ha bisogno di un riparo dalla furia degli elementi naturali, di un momento di ristoro dalla stanchezza accumulata. Si ha bisogno di una mano amica che con un sorriso, magari indurito dal sale, prenda la nostra cima, e la trasformi in un cordone ombelicale fra noi e la terra, la madre terra.

Mi trovo in un tratto di mare percorso continuamente da gente in fuga. Non mi interessa indagare da cosa; chi va per mare ha spesso qualcosa da cui fuggire, fosse anche semplicemente se stesso. Anche se ne ho percorso la stessa rotta, a differenziarmi da quelle persone sono principalmente due cose: il colore della pelle e il portafoglio, per quanto il mio non sia granché gonfio. Due cose, soprattutto la prima, che non mi sono conquistato con grossi meriti personali e che certamente non possono costituire una discriminante per l’accoglienza. Eppure lo sono.

Anch’io qui, come loro, sono uno straniero, anche se a differenza loro ho una casa dove tornare se ne ho voglia o bisogno. Ma anch’io, adesso, sono da solo in una terra straniera dove potrei avere la necessità di qualcuno che mi sostenga. E nel momento in cui qualcuno ti sostiene, cessi di essere solo, di essere straniero. Per questa ragione non negherò mai a quelle persone il mio appoggio e il mio aiuto: perché forza di additare e sottolineare la diversità dell’altro ci si ritrova, prima o poi, a essere il diverso di turno.
Chi va per mare sarà sempre mio fratello, sempre.
Bisogna innanzitutto accogliere, se si vuole essere accolti.

Nuove parole di carta

Un nuovo libro, il terzo, per Piazza Grande.

La vela di Odessa. Una navigazione tra le acque e la storia del Mar Nero e dell’Egeo.

Una lunga navigazione in un mare ignorato dai diportisti, 3600 miglia circa, che mi ha condotto fino a Odessa, in Ucraina. Pensieri e piccole avventure con un occhio sempre rivolto alla storia e alla situazione sociale e politica dei paesi visitati.

Sono davvero soddisfatto del risultato di più due anni di studio, di navigazione e di scrittura
Può essere acquistato sul sito www.laveladiodessa.it o presso le seguenti librerie:

  • Clipper, Via Marcantonio Bragadin, 42 – Roma
  • Libreria del mare, Via Broletto, 28 – Milano
  • Libreria internazionale Il Mare, Via del Vantaggio, 19 – Roma
  • Libreria del viaggiatore, Via del Pellegrino, 165- Roma

Grazie e buona lettura!